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“Ho fame”. La provocazione che ha ispirato un’ondata di collaborazione
“Prendersi cura degli altri è un atto di coraggio”, dice Jomery Nery, un giovane avvocato fiscale brasiliano che è anche il direttore delle operazioni di Anpecom (Associazione Nazionale per un’Economia di Comunione, dal portoghese).
Da Anpecom nasce un’iniziativa chiamata Supera (Programma per il superamento della vulnerabilità economica). Jomery lo descrive come il progetto di “crescita personale” di Anpecom. Parlare di povertà in Brasile non è una cosa semplice. Il problema è di dimensioni molto ampie. Si stima che 13,6 milioni di persone nel paese sudamericano vivano con meno di 1,90 dollari al giorno e 51,7 milioni con meno di 5,5 dollari al giorno.
Con cifre così preoccupanti, da dove si comincia per sradicare la povertà? Non è un compito facile, ma da più di 10 anni, Supera ha strutturato una metodologia che ha permesso loro di raggiungere molte persone e sperimentare la comunione e la fraternità attraverso beni materiali e relazionali.
Abbiamo intervistato Jomery per saperne di più su questo progetto che, durante i quasi 12 mesi della pandemia, ha dovuto cambiare marcia!
Cominciamo dall’inizio. Jomery, come funziona Supera?
Durante tutto l’anno riceviamo messaggi, mail, comunicazioni da persone che hanno bisogno di aiuto per mangiare, per costruire una casa perché vivono in case di carta, per l’affitto, per studiare oppure per iniziare un’attività. Una volta all’anno lanciamo la campagna “Comunione e azione”. È una campagna di due mesi in cui aziende, organizzazioni, individui e chiunque voglia contribuire può farlo. Usiamo riviste, social network e media per diffondere la campagna e raccogliere denaro, che viene poi utilizzato per aiutare le persone in difficoltà.
Sappiamo che ci sono centinaia di persone che chiedono aiuto, ma le risorse non sono infinite. Come si fa a identificare e selezionare chi aiutare?
Abbiamo una persona che coordina Supera e il suo lavoro non consiste solo nel raccogliere i nomi delle persone ma nel conoscere i loro bisogni reali, nel conoscere le loro realtà e comprendere come possono essere aiutate. Si interessa alla loro vita, incontra la famiglia e i loro desideri. Poi, si analizza come poterli aiutare, perché a volte non è nemmeno una questione di soldi ma di organizzazione. Forse, stanno cercando un lavoro ma lo fanno nel modo sbagliato quindi, li guidiamo e cerchiamo un lavoro insieme.
Com’è stato quest’anno di pandemia, come vi ha colpito e come l’avete vissuto?
In Brasile, il tasso di disoccupazione è salito molto e abbiamo visto di nuovo persone per le strade con cartelli che dicevano “Ho fame”. Non lo vedevamo da molto tempo. Sentivamo di dover fare qualcosa, e siamo stati provocati da un leader della comunità di Beiru, a Salvador de Bahia. In queste comunità è difficile avere un lavoro formale, l’economia informale è predominante e all’inizio della pandemia, quando tutto ha chiuso, la gente che vendeva per strada è rimasta senza cibo. In quel momento, questo leader della comunità ha scritto un messaggio ad Anpecom dicendo: “Ho fame”. In quel momento, tra le persone più vicine a noi, abbiamo fatto una piccola comunione di beni che poi abbiamo inviato a lui. Ma da quel momento abbiamo sentito che dovevamo fare qualcosa non solo per questo leader della comunità ma per tutti. Così, abbiamo deciso di fare una “campagna straordinaria Covid-19”. È iniziata a marzo e, in seguito, è stato possibile aiutare gli abitanti dell’Amazzonia che vivono di quello che pescano, persone che hanno perso il lavoro da un giorno all’altro.
In ottobre, abbiamo avuto la campagna regolare, quella che c’è ogni anno. Onestamente, pensavamo che le donazioni sarebbero diminuite rispetto a quanto raccolto negli anni precedenti. Ci ha sorpreso scoprire che le donazioni sono state ancora più grandi e siamo stati in grado di aiutare più persone.
Che effetti produce l’aiuto ricevuto dalle persone?
È un effetto che a volte non possiamo nemmeno immaginare. Per esempio, c’era una famiglia che viveva in una casa di cartone. Questa famiglia è stata selezionata per essere aiutata con i soldi raccolti da Supera e gli sono stati dati i fondi per costruire la loro casa. Il padre di questa famiglia ha preso tutto il materiale avanzato dalla loro costruzione e lo ha messo a disposizione del vicino che aveva anche lui una casa di cartone. Vediamo che queste azioni diventano come un’onda che parte ma non sappiamo fino a che punto arriverà.
Abbiamo anche aiutato una ragazza ad andare al college e, quando si è laureata, ha iniziato a lavorare e a generare reddito. Parte del suo reddito è destinato a sostenere Supera. Ci sono anche persone che, quando non hanno più bisogno dell’aiuto, ci scrivono per ringraziarci e dicono che, per fortuna, non hanno più bisogno dell’aiuto. Questo è un dono per noi, perché spesso non sappiamo come la gente reagisce al denaro che arriva ma costruendo canali e legami di relazione, così, puliti, chiari, otteniamo le risposte.
Come, queste iniziative, aiutano a costruire un mondo più unito?
Penso che sia un atto di coraggio quando usciamo da noi stessi per aiutare qualcuno, ancora di più quando non sai chi è la persona di cui ti prendi cura. Quando riceviamo donazioni, riceviamo il dono di una persona che vuole prendersi cura di un’altra. Chi dona sa che il denaro andrà ad aiutare qualcuno in difficoltà. Per noi che lavoriamo in Anpecom, è anche un atto di coraggio uscire da noi stessi e lavorare gratuitamente per una causa. Ma noi lo prendiamo come un dovere e una missione: aiutare i più poveri.