Workshop
Fare la differenza dove manca tutto
L’esperienza di cura durante la guerra civile, grazie ad una “rete” di famiglie che in Camerun sta facendo la differenza.
#DaretoCare non è solo uno slogan oramai riconoscibile in tante parti del mondo, ma è una sfida vera e propria che si raccoglie e trova humus fertile soprattutto là dove tutto manca.
Le regioni anglofone del Camerun, ad esempio, sono da alcuni anni attraversate da conflitti, violenza e povertà. Una situazione che ha radici lontane nel tempo, già nella dichiarazione di indipendenza del Camerun nel 1960. Da allora, infatti, tra la minoranza anglofona e la maggioranza francofona del Paese si sono create tensioni che sono aumentate sempre più, con scontri gravissimi tra separatisti ed esercito regolare. A questa situazione già difficile si aggiungono oggi conflitti e divisioni tra gruppi etnici, religiosi che, secondo le Nazioni Unite, hanno causato la morte di più 3.500 persone, costringendo oltre mezzo milione di abitanti a fuggire nelle regioni francofone del Camerun o nella vicina Nigeria.
Marie e Ric Nkengafack, vivono a Limbe, sulla costa Sud Ovest del Paese, sposati da 22 anni hanno cinque figli. Oltre a seguire le loro professioni di economista e agronomo, lavorano con una rete di altre famiglie “prendendosi cura” soprattutto di famiglie le cui relazioni interne sono difficili: formazione, accompagnamento, ascolto, sono solo alcune delle attività che portano avanti, insieme a un sostegno concreto per ogni situazione.
Infatti, nella parte anglofona del Paese, molte persone sono state uccise, le famiglie sono rimaste senza casa e molti bambini non vanno a scuola e rischiano di vedere compromessa la formazione e quindi il loro futuro per tanti anni. Così Marie e Ric raccontano:
«Molte famiglie sono sfollate in altre regioni e città vivendo in condizioni terribili e disumane. Con un gruppo di famiglie che qui in Camerun cercano di vivere per la fraternità, cerchiamo di non essere indifferenti di fronte a tutta questa sofferenza. Lo scoppio della pandemia ha peggiorato la situazione a causa delle misure di sbarramento per impedire la diffusione della malattia».
In un contesto così difficile e complesso bisogna lavorare in due direzioni: affrontare le emergenze ma pensare anche al futuro e soprattutto rendere le persone capaci e protagoniste del proprio cambiamento. Maria e Ric spiegano così una “cura” su più fronti: «In collaborazione con il programma di Economia di Comunione abbiamo organizzato una serie di corsi di formazione per dare alle famiglie sfollate la capacità di creare piccole attività generatrici di reddito che possono aiutarle ad avere almeno il cibo in tavola e soddisfare alcune delle esigenze di base». Dall’uncinetto alla produzione di saponi e detergenti, tutto diventa occasione per ricominciare una vita.
Ric racconta di 90 famiglie che hanno avuto la possibilità di iniziare piccole attività commerciali: c’è Rita, ad esempio, il cui marito è stato ucciso in guerra e con il sostegno ricevuto vende pesce affumicato per sostenere la famiglia e far continuare a studiare i figli. Poi c’è Jonas Echu che oggi produce sandali e li vende per sostenere la famiglia. Celestine, invece, con la moglie e i figli è sfollato nella foresta, ma grazie all’incoraggiamento di altre famiglie ha intravisto un’occasione positiva in questa situazione di difficoltà, investendo il sostegno ricevuto nella produzione di patate irlandesi, fagioli e cavoli. Il raccolto è stato buono quest’anno e ora che la loro situazione sta migliorando, vogliono inviare cibo per assistere altre famiglie in difficoltà. Ma non solo: «Abbiamo anche comprato libri e assistito più di 50 bambini a riprendere un percorso formativo. Il feedback che stiamo ricevendo dalla maggior parte di queste famiglie è molto incoraggiante e ci dà il coraggio di continuare».
La cura prima e vera per queste famiglie diventa la relazione, il non sentirsi soli, ma inseriti in una famiglia di famiglie che lenisce le ferite più varie, dà coraggio di porre il cuore oltre l’ostacolo e creare così una reciprocità che fa la differenza.
«È proprio così» – dice Maria – «La reciprocità cambia le cose soprattutto in queste situazioni difficili e crea possibilità prima impensate. Anche il modo di ricambiare l’aiuto ricevuto da parte di alcune famiglie ci ha dato molta gioia ed è la prova che, come si dice qui, non solo abbiamo dato loro del pesce, ma abbiamo insegnato loro a pescare».