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La vittoria (anche) oltre le medaglie: le Olimpiadi di Parigi

 
15 Agosto 2024   |   Francia, Giochi Olimpici,
 
Foto di Guduru Ajay bhargav_Pexels
Foto di Guduru Ajay bhargav_Pexels

Un breve viaggio nelle Olimpiadi parigine appena concluse. Un rapido ripasso di alcune tra le storie di chi ha vinto, classificandosi ai primi posti oppure veicolando valori positivi o messaggi importanti. Storie popolari e meno note, ma non meno importanti. Storie dalla Serbia e dalla Svezia, dalla Cina e all’America, dall’Italia e dall’Afghanistan, dall’Ucraina e da Cuba. Tutte riunite a Parigi per la più grande festa dello sport che il mondo conosca. 

Oltre le polemiche partite con la cerimonia d’apertura e sfociate dentro il letto della Senna, le Olimpiadi di Parigi hanno saputo riplasmare, con le loro 32 sfumature di sport (per la prima volta c’è stata anche la Break Dance), quel composto sublime di forza e velocità, tecnica e intelligenza, sacrificio ed eleganza, leggerezza e potenza.

Nella Capitale francese, la festa dello sport per eccellenza ha visto sfilare il suo protagonista dalle numerose facce ma dall’unica lingua: lo sport, appunto, che tra Notre-Dame e la Tour Eiffel ha fatto incrociare le vittorie estasianti e le cocenti sconfitte, la gioia di qualcuno, irrefrenabile, e la delusione di qualcun’altro, altrettanto incontenibile.

A Parigi sono state scattate nuove foto storiche, altre affascinanti, epici fermoimmagine sportivi, in qualche caso – vedi la finale dei 100 metri maschili – ottenuti con la moderna tecnologia: per capire chi era primo e chi nemmeno andava a medaglia. Tutti vicini, separati da centimetri e centesimi: frazioni minime che provocano stati d’animo opposti, ma ci liberano dalla pressione eccessiva, ricordandoci che, nello sport e nella vita, esiste sempre altro oltre le nostre possibilità. Una percentuale di caso incontrollabile.

È accaduto anche a Parigi ‘24, mentre il presente dallo sfondo, a volte è avanzato provando a scansare il dominio dei cronometri e dei traguardi, delle giurie, dei punti e dei podi. Sempre capaci, però, di riprendersi rapidamente la scena, coi loro verdetti che danno il via a bilanci di un lavoro lungo anni, fatto di enormi sacrifici a volte ripagati ed altre no, almeno apparentemente.

Perché c’è sempre altro, oltre la non banale, non inutile, di per sé valoriale e significativa vittoria: c’è l’essere arrivati fino lì, il rappresentare la propria terra, l’entrare in dialogo col resto del mondo mediante quel linguaggio antico e immortale chiamato sport. C’è il lottare per dare materia a un sogno, per acchiapparlo prima che fugga via (forse) per sempre. C’è l’onorare quella scelta di vita che tanto ha chiesto in cambio e tanto ha offerto, non per forza con una medaglia. C’è la gioia della partecipazione a quell’evento luminoso che ribadisce la bellezza di cui l’essere umano è capace.

Ci sono storie di medaglie e storie di altro, da raccontare nelle Olimpiadi di Parigi ‘24. Tra le prime, certamente brillano i record: quello di Armand Duplantis, lo svedese con l’asta che prima ha vinto l’oro con 6 metri e 10 di salto, e poi è volato a 6 e 25, scrivendo il record del mondo e correndo dalla fidanzata per baciarla.

Anche il nuotatore cinese Pan Zhanle, ha superato il record mondiale (già suo) nei cento metri stile libero maschili, con uno stratosferico 46”40, ma (diversamente) da record, sono anche gli ori memorabili del già immenso Novak Djokovic, conquistatore, al pari di pochissimi altri nella Storia, all’età di 37 anni, del Career Golden Slam (la vittoria in tutti gli Slam e ai Giochi Olimpici) e quello del cubano Mijain Lopez Nunez, peso massimo di lotta greco-romana, capace di vincere a Parigi il quinto oro in cinque edizioni consecutive dei giochi nella stessa specialità. Nessuno come lui.

Ricchi di significato anche l’oro dell’ucraina Yaroslava Mahuchikh, campionessa di salto in alto che ha dedicato la sua vittoria agli atleti connazionali morti durante questi anni di terribile guerra, e i tre ori (ma anche l’argento) di Simone Biles: la straordinaria ginnasta americana già pluricampionessa olimpica, ma anche la ragazza che a Tokyo fece i conti con la sua fragilità interiore e mise tutto da parte per ritrovarsi come persona. La storia del suo lungo pitstop (raccontata anche nella docuserie Simone Biles Rising: verso le Olimpiadi, su Netflix) ci ricorda che la salute, fisica e mentale, viene prima di ogni medaglia e che – sembra retorica ma non lo è – il lavoro sulla salute è funzionale alla conquista del risultato sportivo.

Lo sa bene Gianmarco Tamberi, una delle vittorie senza medaglia di questa Parigi ’24, che già campione olimpico a Tokyo nel salto in alto, avrebbe voluto replicare ora, ma le continue coliche renali hanno deciso il contrario, nei giorni delle gare. Lui, però, ha voluto esserci lo stesso, provando a saltare con quello che aveva: poco nel corpo e tanto nel cuore. Non ha vinto ma ha omaggiato la grande manifestazione che tanto gli ha donato. Ha pianto, Tamberi, eppure lo stadio lo ha applaudito e insieme a lui ha scritto una bella pagina di sport.

Ha pianto anche, ma di gioia, nonostante il quarto posto a un solo centesimo dal terzo, la nuotatrice italiana Benedetta Pilato. Ha spiegato di averci provato fino alla fine, ma poi ha aggiunto: «È il giorno più bello della mia vita». Intorno a questa dichiarazione si sono accumulati numerosi commenti, ma è fuori discussione che, nonostante i suoi 19 anni, questa atleta abbia saputo vedere il bello dentro la splendida imperfezione della sua avventura. «Un anno fa – ha continuato – questa gara non ero nemmeno in grado di farla. Questo è solo un punto di partenza». Benedetta Pilato è stata capace di cogliere il massimo dall’accaduto, di utilizzarlo per camminare verso il futuro apprezzando, al tempo stesso, il dono del suo risultato.

In posizioni decisamente più lontane dal podio, è arrivata Kimia Yousofi, centometrista afghana la cui Olimpiade si è però riempita di profondo significato attraverso un messaggio scritto nel retro del suo pettorale: «Educazione, sport, i nostri diritti». Tre colori: nero (education), rosso (sport) e verde (our rights), come la bandiera afghana. Kimia ha mostrato questa scritta alla fine della gara, con riferimento alle connazionali oppresse nella sua terra.

La voce di questa donna coraggiosa è diventata forte e toccante attraverso il potere dello sport e delle Olimpiadi in particolare, offrendo un altro momento importante di questa edizione dei giochi che ha anche assegnato la prima medaglia (di bronzo) alla squadra olimpica dei rifugiati: l’ha vinta, nel pugilato femminile, Cindy Ngamba, regalando un’altra pagina storica a questi giorni di imprese, emozioni e soprattutto di pace. Giorni portatori, come è stato detto nella cerimonia di chiusura, di «una cultura della pace» e di un mondo unito attraverso lo sport. Aspettando i giorni, non meno importanti e straordinari, delle ormai prossime Paralimpiadi: dal 28 agosto, sempre a Parigi. Giorni imperdibili.


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