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Italia, Speciale #CALLTOGENFEST L’esperienza di Luana

 
29 Aprile 2018   |   , ,
 

Luana Gravina ha 30 anni ed è di Enna in Sicilia. Lo scorso settembre ha partecipato all’undicesimo Youth World Peace Forum. Nelle sue parole, qui a #calltogenfest, la consapevolezza che la pace parte dall’impegno di tutti.

«Dal 16 al 26 Settembre di quest’anno ho partecipato all’undicesimo World Peace Forum insieme a 95 ragazzi di 26 paesi. Ognuno di noi veniva da realtà diverse: Caritas, Scout, Non dalla guerra, Amnesty International e Living Peace International. Tutti, però, avevamo un unico obbiettivo, donarci totalmente agli altri. Il nostro motto era anche il titolo del Camp: “NOW IS THE TIME”. Ora è il tempo! Il tempo di fare qualcosa, ora è il tempo per agire, ora è il tempo per la pace. Questo, infatti, era lo scopo del progetto, lavorare per la pace attraverso azioni concrete.

Tutto si è svolto a Madaba, una città che, come tante altre della Giordania, ospita migliaia di profughi siriani, iracheni, egiziani che scappano dalla guerra di cui ogni giorno sentiamo le notizie. I nostri alloggi erano dei container, costruiti nel cortile di una chiesa che, per due anni, avevano ospitato le famiglie rifugiate.

Ogni giorno eravamo divisi in gruppi e, a turno, facevamo attività di vario genere con le persone del luogo: dal giocare con i bambini, al ristrutturare le case delle famiglie più indigenti; dal distribuire i beni della Caritas, al pitturare mandala per i bambini ricoverati nel reparto pediatrico dell’ospedale di Madaba.

Un pomeriggio, ho giocato con circa 80 bambini che non facevano altro che parlami in arabo… io che ho difficoltà anche con l’inglese. Ma quando c’era da tirare una palla o fare volare un hula-hoop, tutte le barriere linguistiche o culturali crollavano. Nonostante i visi sporchi e l’evidente povertà in cui crescevano, ognuno di loro aveva un sorriso luminoso. Quando davamo la merenda che non sempre bastava per tutti, i bambini erano maestri nell’insegnarci l’arte del condividere.

Un altro giorno, siamo andati a trovare due famiglie rifugiate irachene, fuggite dall’ISIS su due piedi, senza portare niente con loro.

Uno degli uomini che abbiamo incontrato aveva una bruttissima ferita al piede, a causa dell’esplosione di un’auto vicino a lui. I parenti di alcuni di loro erano stati uccisi o rapiti. E chi era sopravvissuto, non poteva più tornare nelle proprie case perché l’ISIS aveva messo delle bombe che potevano esplodere all’apertura della porta.

È stato forte vedere dal vivo quello che si sente solo in tv, e sembra lontano anni luce da noi, ma queste sono persone che hanno una laurea, avevano un lavoro, una bella casa, dei sogni e dei progetti per loro e i loro figli. E adesso, per vivere, sono costretti a chiedere aiuto alla Caritas o alla chiesa. Nonostante tutto, ci hanno accolto con grande dignità, raccontato le loro storie e condividendo una tazza di thè o caffè.

Del Movimento dei Focolari, eravamo circa 20 e ogni giorno provavamo ad essere testimoni veri dell’Ideale dell’Unità. Per esempio, durante un’attività di ristrutturazione della casa di una famiglia di rifugiati, una gen ha notato che tutti i ragazzi dipingevano i muri ma nessuno parlava con la padrona di casa. Così, lei è andata per prima, parlando a gesti perché non conosceva l’arabo e dopo, tutti gli altri l’hanno seguita. Per noi, infatti, l’importante non era “quello” che si faceva, ma “come” lo si faceva. E il nostro “come” era costruire rapporti e cercare sempre il bene dell’altro.

La realtà in cui ci siamo immersi ci ha reso più consapevoli che la guerra di cui sentiamo parlare al telegiornale non è fatta con i numeri, ma con le persone e noi quelle persone le abbiamo conosciute, abbiamo giocato con i loro figli, siamo entrati nelle loro case e nei loro salotti, abbiamo preso il thè insieme, e questo è il motivo per cui da allora in poi, quello che succede lì, è come se succedesse ai miei amici.

Gli ultimi due giorni del Camp abbiamo partecipato all’undicesimo World Peace Forum, un appuntamento che ha visto riunite a Madaba circa mille persone di varie realtà che operano per la Pace in tutto il mondo. Associazioni, personalità politiche e religiose, giovani volontari, tutti eravamo dei peacemaker, dei costruttori di pace. Tra canti, balli ed esperienze, di quei due giorni mi porto la consapevolezza che tantissime persone nel mondo spendono il proprio tempo e la propria energia per far si che la pace sia possibile. Fino a quel momento non lo immaginavo.

La pace è una meta lontana, ma non dobbiamo pensare che ciò che facciamo non basta, perché se io non facessi neanche quel poco, nessuno lo farebbe al posto mio. E’ unendo i nostri “poco”, che faremo di questo mondo il posto che tutti sogniamo».


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