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Van Thuan: la speranza coltivata oltre confine

 
16 Luglio 2013   |   , ,
 

Vita di speranza. François-Xavier Ngujén Van Thuan, nato nel 1928 nella provincia di Huê da famiglia cristiana, perseguitata dal regime, primo di 8 figli era nipote del primo Presidente della Repubblica del Vietnman del Sud. Il Vietnam di quegli anni, quello in cui crescerà a vivrà, era uno stato diviso dalla guerra, quelli de regime, quelli della non-speranza.
In questi anni François sceglie la vita religiosa e viene ordinato sa¬cerdote nel 1953. Dopo la laurea in diritto canonico a Roma nel 1959, torna in Vietnam co¬me rettore del seminario. Viene nominato nel 1967 vescovo di Nha Trang e nel 1975 arcivescovo coadiutore di Saigon. Il suo motto? “Gaudium et spes” che lo accompagnerà tutta la vita anche quando viene fatto prigioniero con l’avvento de regime comunista nel 1975 dopo la nomina di arcivescovo.

Fraternità in atto. Con sé quella notte ha solo un rosario. Così racconta il modo in cui aveva voluto vivere quel giorno che segnerà 13 anni della sua vita, insieme ad altre 1500 persone: “ «Questa è la mia cattedrale, questo è il popolo che Dio mi affida perché io me ne curi, ecco la mia missione: assicurare la presenza di Dio fra questa gente, fra questi miserabili, disperati fratelli miei. È la Sua volontà che io sia qui. Accetto la Sua volontà». Da quel momento in poi una nuova pace mi ha riempito il cuore e mai mi ha più abbandonato in tutti quei tredici anni”. Saranno 13 anni di prigionia, tra le carceri di Saigon, Nha Trang e il campo di rieducazione di Vihn Quang, e di questi, nove di isolamento con la compagnia di due sole guardie. Su dei piccoli foglietti, il cardinale compone un minuscolo libro sul quale trascrive più di 300 frasi del Vangelo che ricordava a memoria. Quando nel 1988 viene liberato, gli hanno chiesto “E’ felice ora?”, ha risposto “Lo ero anche prima”.

Nello stesso anno Giovanni Paolo II lo nomina vice-presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace. Muore il 16 settembre del 2002. A 11 anni dalla sua scomparsa, resta per noi, un’eredità straordinaria per la sua terra, per la sua gente e per l’Asia intera, un’eredità che ha il respiro della fraternità universale.


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