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Comunicando per unire il mondo | Editoriale Newsletter

 
29 Maggio 2024   |   , Newsletter, United World Project
 

Cogliamo l’occasione della recente Settimana Mondo Unito – a cui dedichiamo questa Newsletter – per riflettere sul delicato compito che cerchiamo di svolgere a United World Project: adoperare lo strumento della comunicazione per rendere le parti del mondo più vicine, amiche, solidali.

Comunicare significa donare all’altro qualcosa di nuovo e di utile. Vuol dire anche ricevere da lui qualcosa di nuovo e di utile. Significa scambio, autentica reciprocità, crescita comune, miglioramento condiviso. Nel fluire di messaggi prende forma un segnale di pace, germoglia un incontro che abbatte pregiudizi e distanze, che sviluppa il bene prezioso della conoscenza.

Comunicare, perciò, vuol dire costruire una fonte di bene sul quale sgorgano sviluppo e progresso collettivo. La comunicazione è dunque un importante strumento dell’uomo. Un elemento che come tale è molto delicato: da maneggiare con cura e nobilità. Obbliga l’uomo stesso alla scelta tra bene e male. Il primo lavora per il mondo unito, per l’armonia tra i popoli. Il secondo per la divisione, l’ingiustizia e la disuguaglianza.

Ogni persona della redazione ha ragionato sul tema della comunicazione: Anita Martinez ha usato la metafora di un vaso riempito di formiche rosse e nere. Se a un certo punto qualcuno inizia a scuotere il contenitore, i due gruppi iniziano ad uccidersi a vicenda: le rosse contro le nere e viceversa. La buona comunicazione, usando questa metafora, è quella che aiuta entrambi i gruppi a capire che nessuno dei due è responsabile del problema reciproco. La cattiva, al contrario, è quella che ingannevolmente prescinde dalla verità e manipola la realtà per aggravare quel conflitto, quella contrapposizione che nella vita può mettere una contro l’altra le tante diversità della Terra. La buona comunicazione, conclude Anita, è un ponte basato sulla verità, ma, precisa, è sempre importante il come comunicare le cose. Il linguaggio giusto per arrivare all’altro.

Per Luisa Rodrigues i mass media sono un importante strumento per la globalizzazione. Con questi le culture si scambiano, oltre alle notizie, anche le loro lingue e le loro storie. Con la comunicazione, Noi di UWP – prosegue Luisa – vogliamo annunciare al mondo le buone azioni che costruiscono un mondo più giusto, fraterno e pacifico. Allora abbiamo bisogno di tutti i mezzi disponibili, per portare al maggior numero di persone, in tanti posti diversi, la conoscenza delle buone pratiche. Dobbiamo dire loro che non sono i soli a vivere questa realtà. Un mondo veramente unito è possibile grazie ai media.

Annalisa Picardi parte dall’etimologia della parola comunicazione: cum-munus, in cui munus significa “dono” oppure cum-moenia, in cui “moenia” sta per mura di difesa della città. La comunicazione può aprire all’altro, ma può essere anche una strategia per allontanarsi dall’alterità. “A me piace la direzione del donarsi – conclude Annalisa – perchè è il riconoscersi grati per tutto il Bene ricevuto”.

Per Leandro Silva «la comunicazione – come diceva Chiara Lubich (Fondatrice del Mov. Dei Focolari) – è la possibilità di creare una rete globale in cui tutto sia di tutti, per sperimentare l’unità a 360° che è la conseguenza della Parola vissuta e comunicata». Per comunicare, dobbiamo dunque «farci uno con chi ascolta. (…) Ci vuole l’atto di mettersi al posto di chi ascolta, perché importa l’uomo, non il media, che è un semplice strumento». Ricorda Leandro che Chiara diceva ancora: «Le esperienze, se non sono condivise, è come se non esistessero». Dunque, conclude Leandro, penso che comunicare voglia anche dire dar vita a tutti questi frammenti di fraternità che ci sono nel mondo, come segno di speranza, chiamando ciascuno ad essere protagonista, lì dove si trova.

Interessante, infine, la riflessione di Paolo Balduzzi sul tema: Comunicare per me è un atto “di” coraggio – spiega – perché ti devi mettere a nudo di fronte all’altro e se comunichi davvero, qualcosa di te lo passi a chi ti ascolta, e a volte questa nudità, questa ferita, fa male. A queste parole, Paolo ne aggiunge delle altre, precisando che comunicare è anche l’atto “del” coraggio, perché quando questo passaggio, a volte doloroso, diventa reciproco, attiva un dare-avere di storie, scoperte, emozioni e lacrime, per cui ciò che hai dato ti ritorna in maniera centuplicata; allora mi scopro meno solo e sento, appunto, il coraggio di chi ha le spalle coperte, perché quella comunicazione ha creato una comunità. Non a caso le due parole hanno una stessa radice. È di questa comunicazione che il mondo ha bisogno, è questa comunicazione che aiuta il mondo ad andare avanti più insieme, a sentirsi più unito.

Ecco, queste riflessioni personali si fondono in un pensiero condiviso che United World Project cerca di portare avanti ogni giorno, con articoli scritti e video, con testimonianze raccolte e notizie che danno fiducia, coraggio e speranza in un tempo spesso nebbioso. Andiamo in cerca del bene a volte silenziato dal rumore di altra comunicazione. Crediamo sia importante raccontarlo e offrirlo ai lettori.


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