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Il coraggio di scegliere la cura e non la guerra
Quanto inquinano le guerre? Quali le conseguenze dei conflitti sulla flora e la fauna di un paese? Ne abbiamo parlato con il dottor Augustine Doronila, esperto in ecochimica, che collabora con la Facoltà di Chimica dell’Università di Melbourne.
Dottor Doronila, la guerra è dannosa per l’umanità, non solo perché distrugge vite umane, città, il patrimonio artistico e culturale di un paese, ma anche per le conseguenze che produce sull’ambiente, la natura, la flora e la fauna dello stesso.
Oggi, con l’emergenza climatica che stiamo vivendo, non possiamo più permettercelo, perché significherebbe vanificare gli sforzi che una parte dell’umanità sta facendo per curare il pianeta. Come influisce la guerra sul cambiamento climatico?
Questa è una domanda molto importante oggi, credo sia chiaro a tutti che i conflitti odierni hanno un impatto significativo sull’ambiente.
Con la guerra in Ucraina, tutta una serie di armi letali si stanno abbattendo sulla popolazione e sull’ambiente. Ogni giorno ci arrivano immagini di città assediate in fiamme, di paesaggi e corsi d’acqua deturpati. Uno scenario terribile, che si è già verificato in molte altre parti del mondo. Purtroppo in questo momento sono in corso più di 40 guerre e conflitti in tutto il mondo[1].
Durante i conflitti, noi scienziati non riusciamo a reperire dati precisi sulla perdita della biodiversità, della flora e della fauna, o sull’alterazione delle funzioni degli ecosistemi; ma non è difficile intuire che la guerra sprigiona quantità notevoli di gas serra, che sono la causa del cambiamento climatico. Inoltre, le aree colpite dalla guerra e quelle circostanti subiscono un importante inquinamento da composti tossici e possibilmente radioattivi.
Potrebbe farci alcuni esempi di ciò che è accaduto in conflitti passati e che gli scienziati sono effettivamente riusciti a verificare?
Le faccio una serie di esempi che dimostrano chiaramente l’impatto dei conflitti armati sui nostri fragili ecosistemi. Un esempio recente ampiamente documentato è stato il prosciugamento delle paludi mesopotamiche durante le guerre del Golfo tra Iran e Iraq dal 1991 in poi. Tale operazione è stata definita dalle Nazioni Unite “una terribile catastrofe umana e ambientale”, paragonabile alla deforestazione dell’Amazzonia, e da altri osservatori come uno dei più gravi disastri ambientali del ventesimo secolo[2].
Durante la guerra civile in Rwanda, tra il 1990 e il 1994, circa 700.000 persone si stabilirono in accampamenti situati in prossimità del parco nazionale Virunga. Il parco ospita una specie particolarmente minacciata, i gorilla delle montagne, oltre che scimpanzè, elefanti ed altra megafauna. Per far spazio agli accampamenti, vaste aree di foresta furono di fatto rase al suolo. Durante il genocidio, molte strutture furono distrutte, e la ricostruzione produsse poi effetti dannosi per l’ambiente. Alcune aree furono deforestate, causando l’erosione del suolo[3]. E poi, così come in Ucraina oggi, furono impiegate armi ad alta potenza durante e anche dopo il conflitto. Con quelle armi, nel 2006, i ribelli Mai Mai della Repubblica Democratica del Congo hanno quasi completamente sterminato la popolazione di ippopotami di due dei fiumi del Virunga, alterandone per sempre l’ecosistema[4]. Durante il genocidio, i rifugiati, quasi tutti di etnia Tutsi, fuggirono nella Repubblica Democratica del Congo, e, allo scoppiare di una nuova guerra civile nel paese, le montagne del Virunga diventarono un terreno di scontro. Nel 1994, il parco divenne il primo sito Patrimonio Mondiale dell’UNESCO ad essere dichiarato in pericolo a causa di un conflitto.
Un altro esempio della perdita di biodiversità e di habitat naturali viene dall’Afghanistan, dove gli ultimi 30 anni di guerre hanno spogliato il paese dei suoi alberi, compresi i preziosi boschi nativi di pistacchi. Il disboscamento illegale praticato dalle milizie locali con il sostegno degli Stati Uniti e la raccolta della legna da parte dei rifugiati hanno causato la sparizione di oltre un terzo delle foreste dell’Afghanistan tra il 1990 e il 2007. A ciò si sono aggiunte siccità e desertificazione. Inoltre, il numero di uccelli migratori che passano per l’Afghanistan è diminuito del 85%.[5]
È una lista lunga e dolorosa quella che sta facendo, ma immagino che se andassimo ancora più indietro nel tempo, fino alle tragedie del Vietnam e del Giappone, ad esempio, il bilancio sarebbe ancora peggiore!
Si, è così. Durante la guerra del Vietnam, tra il 1961 e il 1971, nelle operazioni di combattimento furono impiegati pesticidi per alterare il paesaggio e ridurre la vegetazione in modo da aumentare la visibilità: in particolare, fu utilizzato l’Agente Arancio. Si tratta di uno dei diversi tipi di erbicidi a base di diossine spruzzati dall’esercito statunitense per distruggere i raccolti e il manto di foglie della vegetazione. Durante la guerra, sui territori del Vietnam, della Cambogia e del Laos piovvero oltre 77 milioni di litri di erbicidi su un totale di 2600 milioni di ettari di terra. Chiaramente, l’uso del defoliante provocò immediatamente la morte di alberi e arbusti, oltre che la scomparsa di molti grandi mammiferi, tra cui ungulati, carnivori ed elefanti[6].
Il mondo conosce soprattutto la tragica distruzione delle città di Hiroshima e Nagasaki, ma sarebbe già abbastanza terrificante sapere quali conseguenze può causare l’esplosione di una bomba atomica sugli ecosistemi locali. L’enorme rilascio di energia termica all’epicentro della detonazione, infatti, genera temperature molto al di sopra dei 3000°C[7], che inceneriscono immediatamente qualunque creatura vivente si trovi nelle vicinanze. Oltre la zona d’impatto, l’onda termica che si propaga verso l’esterno (da 100 a 1000°C[8]) mette a rischio la maggior parte delle forme di vita che incontra nel corso della sua espansione. La vegetazione che si trova su questa traiettoria viene bruciata, defogliata e spesso uccisa dalle temperature estreme: il risultato è una drastica riduzione della ricchezza e dell’abbondanza delle specie vegetali, come dimostrato dai test nucleari realizzati nel Pacifico[9].
Un’altra importante conseguenza dei conflitti armati è lo spostamento di intere popolazioni, con le conseguenti crisi migratorie di massa. Appare perciò fondamentale ricorrere ad alternative pacifiche alla guerra per risolvere i conflitti legati alle risorse e per evitare che intere popolazioni debbano migrare a causa di tali conflitti[10].
Secondo lei, possiamo permetterci tutto questo oggi?
Il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente ha dichiarato che “almeno il 40% delle guerre civili scoppiate negli ultimi 60 anni ha un qualche legame con lo sfruttamento delle risorse naturali. Nel mondo, gli esempi di conflitti legati alle risorse naturali sono innumerevoli, dalle dispute per l’accesso alle terre in Nepal ai movimenti secessionisti legati alla distribuzione dei profitti del petrolio e del gas ad Aceh, in Indonesia. Trovare una soluzione ai conflitti per le risorse naturali è diventata una sfida cruciale per la pace e la sicurezza nel ventunesimo secolo”[11].
Solo da poco abbiamo iniziato a documentare gli effetti devastanti provocati dai conflitti umani sugli ecosistemi che rendono possibile la vita sul nostro pianeta. Acquisire una maggiore consapevolezza di tali effetti permetterebbe di prendere più seriamente un impegno a favore della pace per tutti e ovunque, in modo da proteggere il pianeta.
L’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura ha dichiarato: “Riducendo i conflitti in atto e quelli potenziali, e rafforzando la sicurezza ambientale, poniamo le basi per una sostenibilità sociale ed ambientale duratura”[12].
Grazie, dottor Doronila. Ci auguriamo che le nazioni, anziché investire in armi sempre più letali e devastanti, possano “osare” porre fine a questa deriva di guerra una volta per tutte, e investire finalmente nel bene comune dei popoli, nella cura degli ecosistemi e dell’umanità.
[1] https://revisesociology.com/2021/03/03/ongoing-wars-and-conflicts-in-the-world-today/#:~:text=It%20is%20sad%20to%20say,deaths%20in%202020%20or%202021.
[2] https://wedocs.unep.org/bitstream/handle/20.500.11822/8231/-The%20Mesopotamian%20Marshlands%20_%20Demise%20of%20and%20Ecosystem-2001227.pdf?sequence=3
[3] https://www.accord.org.za/ajcr-issues/environmental-causes-and-impacts-of-the-genocide-in-rwanda/#:~:text=Large%20areas%20of%20forests%20were,this%20led%20to%20soil%20erosion.
[4] https://www.theguardian.com/environment/2014/nov/06/whats-the-environmental-impact-of-modern-war?CMP=Share_AndroidApp_Other
[5] https://watson.brown.edu/costsofwar/
[6] Westing, A.H. 2013a. The second Indochina War of 1961-1975: its environmental impact. In Arthur H. Westing: pioneer on the environmental impact of war. Springer, New York, NY, USA. pp. 35–50.
[7] Pinaev, V.S., and Shcherbakov, V.A. 1996. 1007/BF01998579.
[8] 1968
[9] 1962
[10] https://www.unep.org/news-and-stories/press-release/unep-and-parliament-worlds-religions-launch-new-book-catalyze
[11] https://www.unep.org/news-and-stories/press-release/unep-marks-international-day-preventing-exploitation-environment-war#:~:text=Over%20the%20last%2060%20years,years%20of%20a%20peace%20agreement.
[12] https://www.iucn.org/commissions/commission-environmental-economic-and-social-policy/our-work/environment-and-peace