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Il pericolo di una mente divisa in due: riflessioni a partire dalla serie tv ‘Scissione’
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Una riflessione sul tema del lavoro, sul nostro presente e il nostro futuro, guardando l’interessante serie di Apple TV+ ‘Scissione’. Una fantascienza sociale, esistenziale, filosofica.
Nei nostri anni di continui, esponenziali, mutamenti dovuti allo sviluppo tecnologico, nelle ansie per un futuro ormai persino difficile da immaginare – che certamente comprende anche il mondo del lavoro – si inserisce l’arrivo di una serie come Scissione, la cui seconda stagione, dopo la prima, intensa, sorprendente, del 2022, arriva ora su Apple TV+.
Il tema, in senso esistenziale, filosofico, futuribile e distopico, è proprio quello delle nostre occupazioni, del nostro universo professionale.
Tutto gira intorno al concetto del titolo: quella “Scissione” a cui sono sottoposti i dipendenti dell’azienda Lumon. Si tratta di una separazione mentale volontaria, legalizzata, per cui l’essere umano, sul posto di lavoro, rimuove sistematicamente il suo sé stesso fuori, e viceversa la persona, durante il suo tempo libero, non sa nulla di quel che accade all’altra metà di sé stesso quando si trova tra le mura asettiche della sua azienda.
Nell’anticamera del palazzo si lasciano tutti gli oggetti personali, ma lo “switch” vero e proprio avviene nell’ascensore della Lumon, dove un marchingegno interagisce col microchip inserito nel cervello del lavoratore e produce in pochi istanti il passaggio da una dimensione interiore a un’altra.
All’entrata, dunque, il lavoratore dimentica chi è stato fino a poco tempo prima, attraverso una sorta di interruttore sottopelle che divide la persona in “interno” ed “esterno”. In inglese “Innie” e “Outie”.
Il lavoro, per il secondo, è tutto ciò che esiste. Egli non ha mai visto il cielo, non ha un cognome. Non sa per quale scopo lavori, ma un piccolo, insignificante premio aziendale gli dà grande soddisfazione.
Scienza e morale, iper-tecnologia e bioetica, nuovi scenari e profondi incubi per l’essere umano si fondono attorno al perno su cui ruota una delle serie più affascinanti e raffinate, complesse e interessanti degli ultimi anni.
Fa venire in mente 1984 di George Orwell, questo racconto scritto da Dan Erickson e diretto da Ben Stiller (sì, il comico ma anche regista). Fa venire in mente quel libro per il controllo del potere sulle vite dei singoli, e per la costruzione di un luogo dipinto come florido e perfetto, quando invece opprime e svuota le persone.
Accanto a Orwell, c’è la letteratura fantascientifica di Philiph Dick, calata nella complessità tematica di Scissione, nei generi che la compongono: il thriller, la fantascienza esistenziale e il distopic drama, principalmente.
Scissione ci parla di un futuro assurdo, ma anche percepito come possibile, vista l’incredibile velocità con cui ci arrivano addosso i cambiamenti dovuti allo sviluppo della biotecnologia.
Un futuro, però, nel quale, a dispetto delle reali conquiste scientifiche, l’essere umano rischia di essere più prigioniero che libero, attraverso quella discutibile forma di volontarietà che, oltre la metafora o l’iperbole della serie, lo porta a vivere in modo disumano il mondo lavoro, senza sapere nulla di sé e di chi lavora con lui. Vivendo da sradicato, da numero, da quasi robot, il suo rapporto con il proprio mestiere. Con mansuetudine totale è nessuna forma di spirito critico. A volte con dipendenza dal lavoro stesso.
Allora viene in mente un altro scrittore del Novecento fantascientifico come Aldous Huxley, e il fatto che non servono più le dittature in senso classico per ammaestrare l’uomo, perché egli sarà spinto in modo invisibile, tanto intangibile quanto deciso, verso scelte di prigionia.
Insomma, al di là dei suoi intriganti sviluppi e personaggi – alcuni interpretati da attori straordinari come Christopher Walken, John Turturro e Patricia Arquette, ma anche gli altri interpreti sono bravi, a partire dall’Adam Scott del protagonista Mark – Scissione ci fa ragionare su un presente in cui, più inquieti e smarriti che entusiasti e ottimisti, osserviamo il mondo esterno dirigersi verso quell’eccessivamente e pericolosamente nuovo prodotto da un vorticoso, incessante, sviluppo tecnico scientifico.
Se nel pensiero di Orwell, Dick e Huxley, ma anche del Ray Bradbury di Fahrenheit 451, il futuro immaginato, seppure credibile, sembrava piuttosto lontano, il tempo che viviamo ci fa avvertire credibile persino una mente divisa in due parti come quella descritta da Scissione, la cui azienda, invece, idolatra di sé stessa e spazio totalizzante, fagocitante della persona, creatura molto più potente di lei, è già pienamente una forma del presente.
Lo è anche quella cultura del lavoro che disumanizza i dipendenti togliendogli la possibilità di un tempo sufficiente e dignitoso fuori, che chiede molto e offre poco in cambio, che ha tolto unità e solidarietà ai lavoratori stessi e produce in loro insicurezza anche attraverso l’avanzamento dell’intelligenza artificiale.
La fantascienza distopica, è stato detto – ed è vero – parla del futuro per raccontare le angosce del presente, ma parla del futuro in modo negativo, anche (e in certi casi soprattutto) per prevenirlo, per cambiare rotta prima che questo si realizzi.
Ben vengano, allora, da tale punto di vista, le intuizioni di questo nobile genere letterario e cinematografico. Ben venga una serie come Scissione, perché noi umani attenti osservatori del pericolo, possiamo reagire criticamente alle minacce che il futuro, insieme alle sue cose belle, può portarci.