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Il valore grande della carità

 
27 Settembre 2024   |   Internazionale, Newsletter, United World Project
 

A un coro variegato di voci abbiamo chiesto di aiutarci a navigare nella bellezza impegnativa della carità, tema della nostra Newsletter di settembre 2024.

Cos’è la carità? Siamo partiti da questa domanda, come spiegato nell’editoriale introduttivo, per costruire la nostra Newsletter di settembre 2024. Non è una domanda semplice, abbiamo scritto, perché la carità è qualcosa di grande, prezioso e impegnativo. Perciò abbiamo chiesto a persone di nazionalità, culture, religioni, professioni e missioni diverse, di aiutarci: gli abbiamo chiesto cosa è per loro la carità, e come la incarnano nel proprio operato. Qui sotto le loro risposte:

Silvina Chemen, rabbina argentina, ci ha detto: «La carità è molto più di un gesto caritatevole nei confronti di una persona bisognosa. È molto più di un’elemosina. È molto più di un atto di compassione per l’altro che non ha o che non può. La parola caridad, almeno in spagnolo, condivide alcune lettere con la parola cara, che significa volto, e per me la carità è questo: non rendere cieco il volto dell’altro. Riuscire a guardarlo con tutta la sua umanità, riuscire a trovare al di là della circostanza in cui vive quello spazio che ci unisce, ovvero che siamo tutti figli di questo Dio. Come diceva il filosofo ebreo Emmanuel Levinas, dove incontro il volto dell’altro, è lì che inizia l’etica. La carità è il modo in cui le nostre religioni parlano di etica, di responsabilità per gli altri.

Don Fabio Pieroni, parroco di San Bernardo da Chiaravalle, a Roma, ha usato queste parole: «La carità non è una modalità con cui faccio meglio le cose. È la causa delle cose che faccio. Se dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la Carità, niente mi giova. Non sono essenziali le opere svolte con sforzo – ha spiegato – se poi ci si aspetta un compenso che può essere la stima o qualcos’altro. La mia comunione con Dio è la Carità. Caritas Cristi Urget Nos! La Carità, quindi, non è uno stile di vita, ma è Dio stesso in me. Se non sono in Grazia, se in me la fiamma dell’amore di Dio non è accesa, le cose non funzionano. Purtroppo, una lettura moralistica della lettera di San Giacomo, che sembra ridimensionare la fede e assolutizzare le opere, è fuorviante. Invece sono tutte e due importanti.

Per la cantante del Gen Verde, María Andreína Rivera Muñoz, del Venezuela, «La carità è l’amore concreto. È ascoltare gli altri senza aspettarsi che ti rispondano. Significa essere disposta a uscire da me stessa. Al lavoro col Gen Verde – ha proseguito l’artista – almeno per me non mancano le occasioni per vivere questo amore. Penso a quella volta in cui ho dovuto sostituire una collega. Non era particolarmente difficile, ma avevo paura di sbagliare. Oppure ieri, mentre facevamo le pulizie e stavo finendo la mia parte, mi è stato chiesto se potevo sostituire chi non era riuscita a finire di pulire la sua. Mi sono buttata senza pensarci troppo. Questo per me è l’amore ed è anche il perdono: non pensare a ciò che l’altra persona è (o non è) in grado di fare. Se ha avuto o meno il tempo di farlo. Semplicemente buttarsi ad amare. È un’avventura bellissima e meravigliosa».

Le fa eco Jean Paul Wasukundi, artista e attore culturale del Gen Rosso. Viene dalla Repubblica Democratica del Congo e per lui «la carità è un valore molto importante per il mondo intero. È un tipo d’amore che si vive in modo concreto e semplice. Essendo artista, come vivo la carità? – si chiede – aiutando e sostenendo progetti sociali e culturali che danno spazio a giovani artisti, ma anche scrivendo canzoni che parlano di pace, unità e fratellanza. Canzoni con messaggi che danno coraggio e speranza a chi ne ha bisogno».

Padre Milton Satiro, dal Brasile, ci ha detto: «La carità è ciò che mi fa sentire vivo. Io sono quando amo». Ha poi aggiunto: «La carità è restituire tutto quello che abbiamo ricevuto da Dio».

L’ha definita «intrigante» Riccardo Bosi, pediatra livornese (ma anche scrittore) la domanda che gli abbiamo rivolto sulla carità: «Lavoro a contatto con bambini e famiglie spesso vulnerabili perché di immigrati – ci ha raccontato – e assumere un atteggiamento d’amore, provando a inserirlo nella relazione tra medico e paziente, è una meravigliosa opportunità. Passare dal curare al prendermi cura – che è molto di più – mi consente di superare più facilmente quelle barriere linguistiche e culturali che a volte sono insormontabili. Si fa molto meglio il proprio lavoro, con una postura d’amore. Non si tratta di togliere qualche attrezzo dalla valigetta preziosa del medico, riempita di fonendoscopio e capacità cliniche di impostare diagnosi e terapie, ma di aggiungervi quello strumento invisibile che per me nel tempo è diventato stella polare e bussola.

Tornando nel campo dell’arte, più precisamente in quella del teatro, abbiamo ascoltato l’idea di carità di Alessio De Caprio, attore e drammaturgo, autore e regista di “Bucefalo il pugilatore”, un toccante monologo sulla storia tragica dell’ebreo romano Lazzaro Anticoli, ucciso alle fosse ardeatine, a Roma, il 24 marzo del ’44. «La carità nella mia vita – ha detto Alessio – accade quando muoio a me stesso per donare qualcosa a una persona. Ciò avviene soprattutto quando ascolto l’altro, quando agisco per lui e non per me. Quando mi accorgo che la felicità è nell’altro e non in me». Su come incarni la carità nel suo lavoro, De Caprio ha commentato: «Quando faccio teatro come attore e come conduttore di laboratori, c’è un momento in cui è necessario ascoltare e guardare negli occhi chi ho davanti, per cambiare la strada prefissata ed accogliere la sola che può creare una relazione».

Anche a un’insegnante, Dominique Millar, di Glasgow, in Scozia, abbiamo chiesto di parlarci della carità: «Per me significa andare oltre ciò che ci si aspetta da me come insegnante. Dunque, prendermi cura del bambino o della bambina, ma anche dei suoi fratelli o sorelle, della sua famiglia, del suo background, della sua casa. Insomma, del suo benessere in generale: aiutarlo perché viva in un ambiente più sicuro. Molti dei bambini con cui ho lavorato – ci ha spiegato meglio Dominique – provenivano da contesti molto poveri. Quindi fai con loro un lavoro sociale oltreché da pura insegnante. Dalle 9 alle 15 insegni, poi rimani in contatto con la famiglia, con l’assistente sociale e con le agenzie che lavorano con il bambino. Si tratta di un lavoro che va oltre l’insegnare loro la A la B, la C. Oppure 1, 2, 3».

Infine, la bella testimonianza di Carlos Freire, assistente di redazione di Living City, in Canada. «Per me la carità è la capacità di riconoscere l’infinita dignità di ogni persona e di agire di conseguenza  ha spiegato – e ogni persona vuol dire veramente ogni persona. Come diceva Chiara: il simpatico e l’antipatico, il giovane e il meno giovane, il bello e il meno bello. E oggi potremmo aggiungere alcune categorie che non erano esplicite ottanta anni fa». Sul modo in cui egli incarna la carità nel suo lavoro, ha aggiunto: «Nel mio lavoro con Living City (il magazine pubblicato da Focolare Media in Nord America) cerco di fare la mia parte affinché la rivista promuova questa visione della carità che è l’elemento necessario per far crescere l’unità e realizzare il sogno di Gesù della fraternità universale». Carlos ha concluso così: «La realtà di oggi (quelle categorie nuove a cui mi riferivo) ci chiede di affrontare temi difficili e conversazioni impegnative. Living City non si sottrae a queste sfide. Il mio desiderio, e quello della nostra équipe, è che lo facciamo con carità, riconoscendo e onorando sempre quell’infinita dignità di ogni persona.


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