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La memoria dei diritti umani: Io sono ancora qui, di Walter Salles

Il potente film che torna sul passato di una famiglia e di una nazione, il Brasile, per raccontarci la violazione dei diritti umani attraverso i regimi politici dittatoriali, dal punto di vista di Eunice, moglie del desaparecido Rubens Paiva. Vincitore dell’Oscar come Miglior Film Internazionale 2025.
È un film sui diritti umani, Io sono ancora qui. Su quelli negati, calpestati, e sulle conseguenze di questa violazione sulle persone comuni. Le persone innamorate, sentimentalmente, affettivamente legate a quella a cui è stato sottratto, con violenza estrema, il primo tra tutti i diritti umani: la vita.
È un’opera sulla memoria della brutalità portata avanti dalla dittatura militare in Brasile negli anni Sessanta, Settanta, e Ottanta, il bel film del brasiliano Walter Salles, vincitore dell’Oscar come miglior film internazionale 2025.
Attraverso questo doloroso momento storico, la pellicola denuncia le dittature di ogni tempo e spazio: quei regimi che tolgono libertà agli esseri umani. Libertà espressiva, politica, artistica, affettiva.
Dittature che negano l’umanità stessa portando sofferenza, ingiustizia, assenza di dialogo e morte.
Io sono ancora qui racconta la storia vera di Rubens Paiva: un ingegnere brasiliano e deputato laburista fuori dalla scena politica dal 1964, ma catturato durante i giorni di Natale del 1970, a Rio de Janeiro: in casa, davanti agli occhi di sua moglie Eunice, magistralmente interpretata da Fernanda Torres (premiata col Golden Globe per questo film).
Diventa lei, madre di cinque figli, la protagonista di quest’opera toccante, tratta dal libro omonimo di Marcelo Rubens Paiva (uno dei figli della coppia) e girata soprattutto in interni, nonostante la bellezza della spiaggia di Copacabana e del suo mare, di fronte alla casa nella quale inizialmente dominano l’amore e la vitalità, la socialità e l’allegria, ma nella quale, un giorno, irrompono l’ingiustizia e la sopraffazione estreme, e tutto cambia. L’ombra cupa cala.
È un’opera in cammino fino ai giorni nostri, quella di Salles, fino all’oggi che non dimentica un passato mai sufficientemente chiuso a chiave, mai del tutto domo e innocuo. Quel tempo astratto, apolide, da tenere a mente per mantenerlo lontano, a distanza di sicurezza, anche con l’arte, con le parole e con le immagini, col cinema che non spegne la luce, né il cuore e né il cervello.
È un film tutto costruito sul sentimento della perdita e sulla battaglia civile e morale di una donna segnata profondamente ma non rassegnata, Io sono ancora qui.
Una donna in lotta per non far calare il silenzio e l’oblio sulla scomparsa di suo marito: uno dei tanti desaparecidos brasiliani (e non solo) di cui la Storia tragicamente ci parla.
Eunice è attraversata prima dalla paura, poi dall’angoscia e dalla sofferenza fisica e mentale per la negazione della propria dignità, quando lei stessa (insieme alla figlia secondogenita) viene trattenuta per giorni nelle celle dei militari.
Infine, viene aggredita da un dolore costante, insuperabile, avvolgente, che solo l’impegno per la ricerca della verità (che arriverà solo nel 1996) e della difesa dei diritti umani dei più fragili (insieme all’amore per i suoi figli) renderanno sopportabile.
Vivrà tutto con forza, questa donna piena di sguardi comunicativi, facendosi simbolo e megafono (insieme alla casa stessa) di una realtà vissuta da un numero inaccettabile di persone al mondo, ieri e oggi, così come da popoli oppressi sui quali tutti dobbiamo tenere accesa l’attenzione e la memoria.
Eunice Paiva è stata capace di laurearsi in legge a 48 anni, costruendosi, oltre le mai guarite ferite, una professione da docente universitaria.
Ha unito il suo privato alle sofferenze altrui, lavorando per i diritti delle popolazioni indigene dell’Amazzonia, senza smettere mai di battersi per associare la parola giustizia alla vicenda tragica di suo marito. Alla sua uccisione.
È stata una donna eccezionale, a cui questo film rende giustamente omaggio.