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L’amore che insegna: Maria Montessori
I primi anni del grande lavoro di Maria Montessori, medico e pedagogo italiano di inizio ‘900. Li racconta un buon film senza fronzoli: “Maria Montesori – La nuovelle femme”. Un biopic parziale che affronta grandi temi come l’amore, la maternità, la condizione femminile, l’infanzia e la disabilità.
Al centro di tutto c’è l’amore: il sapere, come ogni altra cosa che il prossimo può imparare da noi, si trasmette al meglio con lo strumento dell’amore. Potente ed estremamente umano.
Lo dice chiaramente, la Maria Montessori del film omonimo diretto da Léa Teodorov, dopo che una commissione (tutta al maschile) è venuta a valutare, non senza scetticismo e pregiudizio, il suo lavoro di un anno con quella che oggi chiamiamo disabilità. Ma che all’inizio del secolo scorso veniva apostrofata con termini decisamente indelicati, offensivi. Come “idiota”, per esempio.
Osservando, ascoltando diversi bambini neuroatipici con cura materna – altro aggettivo fondamentale nel film e nella Montessori stessa – la protagonista riesce a farli avanzare da un punto di vista cognitivo ed emotivo, riempiendo la loro vita non solo di dignità, ma anche di bellezza e calore.
Maria, ben interpretata da Jasmine Trinca, riuscirà a dimostrare come l’interazione tra i giovani con disabilità e le persone a loro più care, conduce a quella necessaria umanità che cura e salva.
Lo fa anche grazie al personaggio immaginario di Lili d’Alengy, cortigiana parigina e madre di una bambina con ritardo cognitivo (all’inizio non accettata dalla donna).
Insieme, Maria e Lili, diverse ma con qualcosa in comune, sostenute dal filtro eccezionale, miracoloso, della musica, testimonieranno come la premura affettiva e la vicinanza fisica ed emotiva, possano fare la differenza nello sviluppo interiore del bambino.
Sarà questa esperienza radicale, ancora più sperimentale se pensiamo che fu vissuta (faticosamente) all’inizio del ‘900, a modellare il cosiddetto “Metodo Montessori”, nato dalla genialità di un medico e pedagogo straordinario, portatore di una rivoluzione basata sull’ascolto.
Questa donna, inizialmente nemmeno pagata, ci ha lasciato una lezione che nel tempo è stata esportata in tutto il mondo.
Maria Montessori è partita dall’accoglienza della diversità, della fragilità estrema, dalla tutela, dal recupero di chi era indietro, dalla salvaguardia di chi all’epoca veniva emarginato, per estendere poi il suo modus operandi a ogni bambino del pianeta, di qualsiasi origine e condizione fisica e mentale.
Colpisce il fatto che questo meraviglioso percorso empatico, sia stato portato avanti, da Maria Montessori, insieme al suo essere madre. Una maternità vissuta però in modo conflittuale: non per mancanza di amore, tutt’altro, ma perché quel suo figlio amato, il piccolo Mario, era nato fuori dal matrimonio, e in un tempo molto lontano dal nostro, in cui la società non accettava figli concepiti da coppie non sposate, quel bimbo crebbe per dodici anni in campagna con una balia.
C’è sempre questo dolore, nella Maria del film, vissuto nella lontananza dal suo bimbo come nelle visite presso il casolare di campagna nelle quali tentava di restituire a suo figlio quel rapporto fondamentale per ogni nuovo nato: quello con chi l’ha messo al mondo, e con amore profondo lo prepara alla vita.
Una maternità in qualche modo negata a Maria Montessori, che tanto ha dato ai bambini di tutto il mondo. Una maternità che però lei ha saputo riversare, chissà se conseguentemente, in ogni vita in erba incontrata.
C’è dunque il privato nel pubblico, il sentimento nel lavoro, in questo film coprodotto da Francia e Italia. Un’opera semplice, asciutta nello stile, ma efficace nei contenuti. C’è una donna moderna (non a caso il titolo originale del film, in francese, é La nouvelle femme) e battagliera, incapace di rinunciare al proprio viaggio professionale per cambiare l’educazione dei piccoli, nonostante questo le abbia provocato forti sofferenze personali.
La regista Léa Todorov ha dedicato il film a sua figlia Sofia, bambina neuroatipica.