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Luci lontane
La speranza e la sofferenza, i sogni, la fatica e la paura dei migranti asiatici sulla rotta balcanica, attraverso un toccante documentario dal titolo Trieste è bella di notte.
La città del titolo è una distesa di luci che vibrano e brillano sul mare. È la Trieste scoperta dall’alto, da lontano, da una delle numerose testimonianze del documentario “Trieste è bella di notte”.
Lo hanno diretto Andrea Segre (già sensibile al tema dei migranti, con importanti lavori di documentario e finzione), insieme a Stefano Collizzoli e Matteo Calore. Tutti e tre sono soci fondatori di ZaLab: un collettivo di sei filmmaker e un’associazione per la produzione, la distribuzione e la promozione di documentari sociali e progetti culturali.
La Trieste del film è il luogo della speranza, approdo sognato di un viaggio arduo e pericoloso, che può facilmente farsi incubo. Trieste come terra immaginaria e ideale, prima che tangibile e fisica, cercata, in ogni caso, da esistenze reali: dalla verità potente di persone con volti carichi di umanità. Vite con bisogni chiari, con desideri comprensibili e sentimenti identici a quelli di chi abita la parte più comoda del mondo.
Questo asciutto e toccante documentario è distribuito proprio da ZaLab Film, dal 23 gennaio scorso in Italia, accompagnato da un tour con gli autori in giro per la Penisola, dopo la presentazione (fuori concorso) al Trieste Film Festival.
Il film osserva e ascolta con sobria ma costante partecipazione la fatica estrema di migranti asiatici che cercano di raggiungere l’Italia attraverso la rotta balcanica. Via terra, con un lungo viaggio a piedi, di settimane, che attraversa porzioni abbondanti di mondo e culmina nel cosiddetto “game”: un gioco solo a parole, in cui di divertente non c’è nulla. Di drammatico invece, quando non di tragico, c’è molto.
Il termine è provocatorio, macabro, impregnato di crudeltà. Va inteso come roulette, o al limite, per capirci, nell’accezione della nota serie coreana di qualche tempo fa: Squid Game, dove giocando si moriva. Solo che qui, di finzione non c’è nulla, di metaforico nemmeno. Tutto accade. E, infatti, parte delle immagini arriva dai telefonini con cui gli stessi migranti documentano la loro disperata traversata dalla Slovenia all’Italia e la colonna sonora del racconto comprende le canzoni e la musica della loro cultura, quella ascoltata durante il viaggio: è più facile, così, entrare nei loro occhi e nelle loro orecchie, più semplice raggiungere l’empatia che scaccia i numeri asettici, freddi, e fa sentire vicina e viva la persona.
È più immediato, così, accostare il cuore alle loro voci intervistate, rese memoria, ai loro volti comuni, agli esseri umani respinti e ad altre vite sospese, in attesa di partire, tra paura e desiderio, a Bihać, in Bosnia, in una casa abbandonata.
Tutte spiegano, raccontano, denunciano il prezzo assurdo di una normalità e una libertà per altri scontata, la quale, se (e appena) afferrata, può essere per loro immediatamente persa. Perché quella frontiera nel cuore dell’Europa può non fare affatto rima con accoglienza, con asilo, con il futuro per cui si è lottato e rischiato, ma può essere il rimbalzo violento che rispedisce al punto di partenza, attraverso le cosiddette “riammissioni informali” di una politica che non sa dare risposte adeguate a un fenomeno così enorme, a una realtà umana così delicata e dolorosa.
Ci parla anche di questo, “Trieste è bella di notte”, oltreché di neve sulla via, di stenti, di ferite sul corpo e di compagni morti sul cammino, di foglie mangiate per nutrirsi e persino – lo vediamo anche dai filmati di repertorio – della necessità di bere acqua dalle pozzanghere.
Sono dettagli che aggiungono asciutta sostanza a questa rievocazione collettiva di angoscia e speranza, di tenacia e delusione. Sono altre immagini e altre parole che mostrano la ferita grande che riguarda il mondo intero. Stavolta arrivano da uno spazio forse meno noto, da un angolo del mondo fatto di boschi e di montagne, pochi chilometri sopra Trieste. Ma parlano della stessa sofferenza, della stessa disparità e disuguaglianza, dello stesso dolore e degli stessi fratelli che attraversano il mare. Sono il coro struggente di “Trieste è bella di Notte”.