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Perfect Days: i giorni ricchi di Harayama

 
9 Marzo 2024   |   Giappone, Film,
 
Perfect Days - Lucky Red
Perfect Days – Lucky Red

La poesia nel quotidiano, la felicità nell’asprezza, l’armonia nell’accettazione, la libertà nell’umiltà, il movimento nella stasi apparente. C’è tutto questo, e molto altro, nel personaggio di Harayama, il protagonista del nuovo, prezioso film di Wim Wenders: Perfect Days, gioiello candidato all’Oscar.  

Più che perfetti, i giorni di Harayama sono felici. Lo testimonia il suo volto quando incontra il sole o la pioggia, la mattina presto. Quando apre la porta di casa e respira piacevolmente, accennando un sorriso prima di iniziare una giornata di azioni sempre simili, ma non uguali.

Non alienanti, ma riposanti. Harayama, interpretato magnificamente da Kōji Yakusho (non a caso premiato all’ultimo Festival di Cannes come miglior attore), è il silenzioso, poetico protagonista di Perfect days: il nuovo film del maestro tedesco Wim Wenders, candidato per il Giappone ai prossimi premi Oscar (10 marzo 24), nella categoria dei film girati non in lingua inglese.

L’opera del regista, infatti, è ambientata completamente a Tokyo e racconta la storia di un uomo sui cinquanta, forse oltre, che di professione pulisce i bagni pubblici della città. Non svolge il suo mestiere con superficialità, però. Non si lamenta mai. Al contrario compie gesti di netta precisione, lavora con impegno profondo curando i dettagli. Valorizza al meglio quei luoghi, vive il suo lavoro come servizio e rende Perfect days un film non sul disagio metropolitano o sul degrado umano. Non c’è sarcasmo nel titolo. Non si parla di emarginati, di ultimi, e forse, volendo estremizzare, è un film sui primi, Perfect days: sui poeti del quotidiano che sanno riempire di emozioni luminose la loro storia anonima e faticosa.

Gli occhi di Harayama (e la sua macchina fotografica) si posano sulla natura e diventano lirici. Lirico è lui stesso quando assapora un pasto semplice nel parco. Perfect days è un omaggio a chi sa arricchire le sue giornate di bellezza, anche se sono aspre. Il protagonista si aiuta con la buona musica e con letture di valore prima di dormire, con la cura delle piccole piante in casa.

Sono compagne che lo tengono alla larga dalla tentazione di sentirsi prigioniero di un mestiere non appassionante, non prestigioso e non particolarmente remunerativo. Tiene a bada l’idolatria del lavoro, questo bizzarro e dolce personaggio. La vita è molto altro, sembra dirci, e il film che gli ruota attorno è un canto a chi non si giudica negativamente perché le sue mansioni sono umili, ripetitive e di scarsa considerazione sociale. Perfect days è un inno a chi, seppure abbia imparato a bastare a sé stesso – in Harayama ci sono antiche ferite – non rifiuta l’aiuto al prossimo bisognoso quando lo richiede: il collega scapestrato che gli chiede soldi; la nipote che gli chiede alloggio, e anche affetto, dopo essere fuggita di casa.

È un uomo fertile, a modo suo, questo signore che circola per le vie di Tokyo su un pulmino blu, sempre osservato da una torre che domina il paesaggio, alta e gigante rispetto alla sua minuta mansuetudine. Harayama non è spento, non ha fatto della sua solitudine un callo, un anestetico al bisogno delle relazioni umane. Lo racconta il suo viso increspato nel finale: il suo lungo e memorabile primo piano su cui danzano emozioni diverse. Le avvertiamo in modo nitido, nonostante le pochissime parole di Perfect days. La comunicazione è potente, tuttavia, fatta di gesti e azioni del protagonista. Sembra che poco si muova nella vita di Harayama. Eppure tutto vive, ribolle nella calma, cambia come la natura da lui fotografata ogni giorno. Se lui non parla, parla il suo corpo con lo spettatore. Parla il suo sguardo accesso sul paesaggio naturale, architettonico e umano. Gli scambi visivi col senzatetto nel parco sono, in questo senso, poesia nella poesia, l’empatia di un uomo vivo. È un film taciturno, Perfect days, ma con sparute parole dal peso specifico notevole, sufficienti a ribadire il senso del film: «un’altra volta è un’altra volta, adesso è adesso», dice Harayama alla nipote, probabilmente per spiegarle che il segreto della felicità sta nell’apprezzare ciò che la vita offre quotidianamente. Il presente va vissuto senza l’ansia del futuro e liberi dalla prigionia degli idoli.

Ha saputo legare la sua storia alla libertà, il povero e ricco Harayama. Ha imparato a benedire la sua vita con quello che gli regala, a partire da un lavoro semplice che però diventa la strada per una relazione sana col prossimo sconosciuto. Benedice la sua storia, quest’uomo umile e vitale. Così ogni giorno la sua esistenza diventa una festa intima ma vera. In questa sua capacità di trasformare l’accettazione in armonia, di riempire la ripetitività di sapore, sta la perfezione dei suoi giorni.


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