Workshop
Alla ricerca di un’altra moda: il viaggio di Camille
“La moda in Asia? È fatta di tessuti creati con lentezza: quando li tocchi, riesci a sentire che c’è dell’amore dentro, che la persona che li ha creati ci ha messo tutta se stessa. Per me, ognuna di quelle creazioni è un tesoro puro”. La nostra cercatrice di tesori è Camille Lambert, giovane francese appassionata di moda, e il luogo di quest’incontro rivelatore è un mercato di strada del Laos.
È l’inizio del 2018, e Camille ha in spalla uno zaino e in tasca alcuni indirizzi di produttori di moda etica sparsi per l’estremo oriente. Delusa da una recente esperienza lavorativa nell’ambito dell’abbigliamento a basso costo, quello “usa e getta”, ha deciso di partire per alcuni mesi alla scoperta di terre che, pur tristemente note proprio per la produzione industriale che alimenta il consumo tessile in occidente, custodiscono vere e proprie meraviglie. È decisa a scoprire l’altra faccia del Sud-Est asiatico, e a vedere con i propri occhi che, accanto ai fiumi contaminati dagli scarti dell’industria tessile (seconda al mondo per inquinamento dopo quella del petrolio) e alle fabbriche nelle quali si lavora in condizioni disumane, c’è spazio per una moda che rispetta le persone, i materiali, la Terra e le antiche tradizioni.
Fin dalla prima tappa, il Laos, le si apre un mondo fatto di colori scintillanti e motivi che raccontano storie. “In Asia, ogni motivo decorativo ha un messaggio da trasmettere, non viene usato soltanto perché è bello da vedere”, spiega. Ogni paese ha i propri, come quelli realizzati in Indonesia con il batik, una tecnica che consiste nel decorare il tessuto con la cera. Il grande arcipelago custodisce un ricchissimo patrimonio di fantasie realizzate in questo stile, alcune delle quali, in passato, erano riservate solo alle persone di rango regale per il loro significato. “Quando ho visitato il museo del batik a Giava, l’isola principale, ho pianto per la meraviglia”, racconta Camille, nei cui occhi si scorge una grande passione per la bellezza e le cose sincere. Una passione che porta dentro fin da quando, all’età di dieci anni, ha assistito alla sua prima sfilata di moda, e da quando poi, ragazzina, osservava la madre scegliere i propri vestiti e cuciva abiti per gioco insieme alla nonna.
In Laos, Indonesia, Myanmar e Vietnam, Camille ritrova il fascino dei tessuti naturali fatti a mano, la bellezza di una moda autentica: “In Vietnam, per il capodanno cinese, ho visto la gente indossare l’abito della festa, una lunga tunica aperta sui lati, con colori accesi e stampe magnifiche, che non avevo mai visto prima”, ricorda. “Si fa fatica a credere che questi sono paesi che hanno visto la guerra, eppure è così, ma per fortuna tutto questo è rimasto intatto”. La moda tradizionale qui, poi, è anche frugalità: “Le persone possiedono un vestito per le occasioni importanti e qualche capo fatto a mano. È tutto ciò che serve”.
In Cambogia, Camille incontra la stilista Aude Schaeffer, sua conterranea, che ha da poco lanciato la seconda collezione della propria marca, Muudana. Aude lavora con fornitori locali di seta e cotone biologico coltivati eticamente, e, per la produzione, si appoggia ad un’organizzazione che garantisce condizioni di lavoro dignitose alle donne del luogo e l’istruzione scolastica ai loro figli. In marcata controtendenza rispetto alla cosiddetta “fast fashion”, Muudana propone una sola collezione all’anno e non aderisce ai saldi. Aude, spiega Camille, è una dei tanti giovani imprenditori, occidentali e asiatici, che hanno deciso di scommettere sulla moda tradizionale di questi luoghi, e che si adoperano perché ne sia riconosciuto il giusto valore, senza mai scendere a compromessi sulla sostenibilità e il rispetto di tutte le parti coinvolte.
Era per incontrare stilisti come Aude che Camille aveva intrapreso il suo viaggio, ma, in cuor suo, sapeva di non dover riempire troppo la sua agenda di appuntamenti per lasciare spazio agli incontri inaspettati. Che alla fine si sono rivelati magici. “Ho visto donne anziane che tessevano sotto casa, o addirittura intere famiglie, come a Koh Dach, l’‘isola della seta’, in Cambogia”, racconta. “Ho potuto toccare con mano la tradizione, il sapere tecnico che si trasmette da una generazione all’altra”. Nel nord del Giappone, ultima tappa del suo viaggio, si imbatte in una donna che, nel giardino della sua casa in montagna, si dedica alla tintura con il succo di kaki, ecologica e particolarmente benefica per la salute. Con sua grande sorpresa, scopre che la signora è conosciuta per la qualità dei suoi tessuti, che si vendono in tutto il Giappone.
In maggio, lo zaino e il cuore di Camille traboccano degli incontri vissuti, e il vento la riporta in occidente, più precisamente a Montreal, città che ormai da anni chiama casa. Dopo tutto quello che ha vissuto, vuole trasmettere intorno a sé un messaggio positivo: un altro modo di concepire la moda è possibile, e può essere una scoperta molto interessante. “Sentirci in colpa per ciò che abbiamo fatto alla Terra serve a poco: non c’è più tempo, dobbiamo cambiare la nostra mentalità e il modo in cui consumiamo”, dice. “Naturalmente non accadrà dall’oggi al domani, ma possiamo iniziare chiedendoci se davvero abbiamo bisogno dell’ennesima maglia da 5€ — è quello che provo a dire ai miei amici”. E poi l’economia circolare, il dare una nuova vita ad abiti di un’altra epoca: “Non sai quanto mi diverte quando le mie amiche mi raccontano di aver trovato veri e propri tesori negli armadi di mamme e nonne, capi di qualità, che il tempo non ha scalfito”. Così, con quei vestiti si può ereditare (e continuare a scrivere) una storia. Perché “la storia di ciò che indossiamo può essere tanto bella quanto il vestito stesso”. A ciascuno di noi la scelta.
Il cambiamento avviene un passo alla volta, alcune risorse da cui trarre ispirazione lungo il viaggio: