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Cile: deserto verde contro i veleni
Di Alberto Barlocci.
In pieno Atacama, la regione più arida del mondo, un ricercatore ha ottenuto un doppio effetto positivo: la creazione di un’area verde che assorbe le emissioni di un’industria mineraria e l’elaborazione di un metodo per frenare l’espansione del deserto.
I tempi stringono e gli effetti dei cambiamenti climatici stanno accelerando, il che significa che i provvedimenti da prendere saranno sempre più drastici. La recente riunione del C40, il gruppo che riunisce le principali città del pianeta, nelle quali vivono più di 700 milioni di persone, segnala che per evitare effetti climatici catastrofici per il 2030 bisognerà ridurre del 50% le emissioni di gas da effetto serra e per il 2050 la riduzione dovrà arrivare all’80%. Urgono, dunque, proposte innovative a breve, medio e lungo termine.
Una proposta interessante giunge dal Cile, che non fa certo parte dei Paesi maggiormente contaminanti. Anzi, è nella produzione di energia pulita, soprattutto nel campo dell’eolico e del solare. L’idea è semplice: per ridurre la produzione di gas da effetto serra, si potrebbe stabilire il criterio che le emissioni di carbonio che ogni attività industriale produce siano compensate con la creazione di aree verdi che ne assorbano una misura equivalente.
In secondo luogo, le regioni desertiche, che nel mondo si stanno espandendo, andrebbero frenate con piantagioni di vario genere, a seconda delle caratteristiche. Un po’ come si sta facendo col “muro verde” che, qua e là, si sta piantando al sud del Sahara, per evitare che avanzi.
Manuel Paneque, della facoltà di Scienze agrarie dell’Università del Cile, sta portando a termine un modello dai buoni risultati nella regione mineraria di Antofagasta, nell’estremo nord del Paese. È questa la regione del deserto dell’Atacama – il più arido del mondo – che continua ad avanzare verso sud, desertificando zone che prima erano verdi. Frenarlo è una necessità.
Paneque è riuscito a trasformare quattro ettari in deserto verde, capaci di assorbire nove tonnellate di Co2 piantando alcune specie autoctone di vegetali, tra cui leguminose, peperoni e, soprattutto, la atriplex dotata di un grande potere calorico, e pertanto utile anche per ottenere biomassa. La atriplex fa parte della famiglia delle amarantacee ed è conosciuta anche in Messico per la sua capacità di sopportare terreni altamente salini. Alcune specie sono commestibili con un alto valore proteico, intorno al 20-30%. Nel progetto, le piante che meglio sopravvivono all’esigente clima del deserto vengono poi portate in laboratorio per ottenerne cloni e verificare il grado di tolleranza al sale e ai metalli pesanti che si trovano nel terreno della regione.
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