Workshop
Food2connect: quando il gusto è integrazione
L’originale progetto dei Giovani per un Mondo Unito di Graz, in Austria, che mette la fraternità… in tavola…
Juan Camilo Poveda è un giovane colombiano, ha solo 31 anni e le idee molto chiare. Lui che ha girato un po’ il mondo e poi, per amore, è andato a vivere a Graz, in Austria, ha provato sulla sua pelle cosa voglia dire lasciare la propria terra e trovarsi dentro una cultura e una lingua totalmente altre, che rendono difficile la vita quotidiana e costringono, a volte, a una certa solitudine.
Ecco perché è la persona più adatta a parlarci di Food2Connect, un’originale esperienza promossa dai Giovani per un Mondo Unito di Graz (Jugend für eine geeinte Welt). Juan Camilo è uno dei “coach” del progetto, dentro un’équipe di altre cinque persone. Il progetto, lo ha visto nascere e ne vede gli orizzonti.
«Food2Connect è un progetto pensato dai Giovani per un Mondo Unito, e sostenuto dall’ European Solidarity Corps, un progetto europeo che promuove l’integrazione e la multiculturalità. Il progetto è nato avendo davanti agli occhi la sfiducia della società verso la persona straniera, soprattutto migrante, che in Austria è molto forte. In questo Paese c’è rispetto per tutti, c’è tolleranza anche per chi è diverso, ma manca il calore, l’andare incontro a una persona per creare un rapporto».
Juan Camilo racconta con passione le idee sul rispetto e sulla disponibilità verso l’altro che tra i giovani avevano condiviso, cercando una via di dialogo che mettesse insieme tutti, in una situazione così delicata: l’Austria infatti, si trova proprio a nord della rotta balcanica, ed è porta d’Europa per tanti migranti dall’Est e dal mondo arabo.
Che cosa abbiamo tutti in comune per iniziare a dialogare? Niente di più semplice: il cibo! Piatti e pietanze, usanze culinarie, sono utilizzate spesso come base per le relazioni sociali e nello sviluppo della propria cultura. Basta pensare che quando ci si dà appuntamento tra amici, lo si fa per “prendere qualcosa insieme”, che sia da bere o da mangiare…
«È stata una trovata geniale: abbiamo preso una ventina di persone, tutte giovani, metà austriache e metà provenienti da altri Paesi (dall’Est Europa, dal mondo arabo, dall’Africa e dall’America Latina) con storie diverse di migrazione alle spalle. Grazie al sostegno economico del progetto europeo abbiamo allestito una grande struttura per cucinare e per condividere i sapori delle nostre tavole, programmando sei workshop dove cucinare insieme le pietanze dei propri Paesi e dei Paesi dell’altro, sono diventate un’occasione unica di dialogo e fratellanza».
La cosa interessante infatti è proprio questa: i workshop sono stati organizzati per piccoli gruppi, dove per 2-3 ore ogni partecipante ha avuto la possibilità non solo di far conoscere la cultura del proprio Paese attraverso i sapori della tavola, ma anche di condividere la sua storia personale, familiare, di migrazione, legando quel piatto particolare a una narrazione fatta di carne e ossa, di lacrime, di risate, fallimenti e tante resurrezioni.
«La possibilità di chiacchierare mentre cucini è straordinaria, puoi far capire cosa significa una pietanza o un ingrediente nella storia di ognuno, si crea qualcosa che sa di famiglia, che rompe la barriera dell’indifferenza e della paura dell’altro, che alla fine, proprio come a casa, attorno a uno stesso tavolo, si siede, mangia con te, e condivide con te la vita».
Juan Camilo non nasconde con onestà le difficoltà sorte con la pandemia, che ha trasferito i laboratori sulle reti sociali, trasformando il progetto, per un periodo, in un cooking show, dove mantenere i rapporti non è stato così facile.
«Il rischio di mollare tutto era fortissimo, eppure in quei mesi ci sono arrivate tante foto sui social, che ritraevano i nostri partecipanti che si trovavano, online o in presenza dove possibile, anche oltre il momento del workshop ufficiale, per continuare a conoscersi tra una ricetta e l’altra, invitandosi magari a casa di uno o dell’altro in momenti particolari, per rinsaldare un legame. E ti assicuro, che quando abbiamo visto una giovane austriaca recarsi a casa di un giovane siriano per conoscere di più la sua vita, e continuare a preparare ricette insieme, per noi è stata già una vittoria che anche la pandemia, nella sua drammaticità, ha portato».
Tutti questi giovani, in un modo o nell’altro, hanno vissuto situazioni difficili a causa della lingua, del rifiuto sociale, della mancanza di lavoro, e trovare un gruppo dove stare bene e sentirsi “squadra” certamente aiuta a cambiare le cose.
«Ti dirò di più: c’è un background di fraternità molto ampio dietro a tutto questo. L’esperienza che abbiamo avuto è di una certa reciprocità che si fa strada: gli austriaci tendono ad aprirsi quando si sentono in un posto sicuro, in uno spazio che è per loro: lavorando e cucinando insieme questo spazio si è creato, ha tolto tanta rigidità, ha creato famiglia. Dall’altro lato per chi viene da fuori, tornare a mangiare qualcosa del proprio Paese, tornare a sentire certi sapori, ha aiutato a stare meglio, a dare un senso al dolore della lontananza dalle proprie origini, dal proprio Paese, si sono dati una mano l’un altro, una cura reciproca che ancora può dare tanti frutti».
Le parole di Juan Camilo non sono dette a caso: a seconda di come andrà la situazione pandemica, sembra che si possa tornare a concludere i workshop, con il sesto appuntamento in presenza, con un prossimo “Festival” nel mese di agosto, e chissà, un ritorno ai fornelli anche per la prossima stagione.