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Il segreto della fratellanza è nell’incontro
In occasione della presentazione della sesta edizione del Premio intitolato al fratello sacerdote, abbiamo incontrato Roselyne Hamel per farci raccontare tratti di questa storia che conferma che, come dice lei, il segreto della fratellanza è nell’incontro. Due mamme che hanno in comune un dolore, diverso ma egualmente lancinante. La spinta ad andare oltre determinate ragioni per dire che la fratellanza è ancora possibile.
Saint-Étienne-du-Rouvray, Francia del Nord. Siamo dentro una chiesa, in un’assolata mattina d’estate. Padre Jacques sta celebrando la messa, come presumibilmente fa ogni mattina. Ha quasi 86 anni, il volto segnato dalla fatica e le mani rugose di chi ha stretto, per anni, altre mani da consolare e rosari da pregare. Gli occhi, però, quelli sono vispi, grandi, sensibili, trasmettono una vitalità e un certo umorismo che l’anziano sacerdote francese è solito esprimere. Fa caldo, quel 26 Luglio. Il mondo sta seguendo da una parte la Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia, segno di fraternità e comunione, ma dall’altra è scosso da diversi attentati terroristici, l’ultimo dei quali è avvenuto proprio in Francia, a Nizza, il 14 Luglio, quando un uomo ha volontariamente investito la folla che assisteva ai festeggiamenti pubblici in occasione della festa nazionale francese sulla Promenade des Anglais.
Padre Jacques Hamel, forse, sta pregando anche per questo momento difficile del mondo, durante la celebrazione, quando due uomini irrompono in chiesa, costringono il sacerdote a interrompere la liturgia e a inginocchiarsi. Gli tagliano la gola, padre Jacques è subito martire, tanto che Papa Francesco, fin dall’ottobre successivo alla morte, decide di aprire per lui la causa di beatificazione.
Il dolore è ancora forte negli occhi di Roselyne, nel ricordare quei fatti. Sono passati quasi 8 anni ma la crudeltà dell’esecuzione di suo fratello, che era inerme, era fragile, rende la ferita molto più difficile da superare. Nel cercare una via d’uscita da quel profondo dolore, Roselyne Hamel si chiede chi possa soffrire più di lei. E la risposta arriva dopo una lunga riflessione: è la madre dell’assassino, forse? Quale tunnel potrà attraversare una madre che sa che il proprio figlio ha seminato la morte? Forse, quel dolore potrà essere condiviso? Potrà portare a qualcosa di buono? Roselyne pensa al fratello che, senza far rumore, si dedicava a fare del bene agli altri, costruendo ponti di dialogo e di incontro. Anche Roselyne è mamma e decide di agire e di cercare quella madre, la madre di Adel Kermiche, che all’epoca dei fatti ha poco più di 18 anni, anche lui morto quello stesso giorno, durante il tentativo di fuga dalla chiesa.
«È da tempo che la aspettavo», risponde la signora, e inizia così un percorso di riconciliazione, di guarigione reciproca, di perdono. Due madri, una cattolica, l’altra musulmana, entrambe segnate da una sofferenza agghiacciante, si mettono in gioco per ritrovare una speranza da offrire al mondo.
A Roma, in occasione della presentazione della sesta edizione del Premio intitolato al fratello sacerdote, abbiamo incontrato Roselyne Hamel per farci raccontare tratti di questa storia che conferma che, come dice lei, il segreto della fratellanza è nell’incontro.