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La mia vita non vale più di un’altra
La storia di Giulia, italiana, nel Corpo Nonviolento di Pace “Operazione Colomba” dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII.
«Scrivo da questa tenda di cartone e nylon, nel campo profughi di Tel Abbas, in Libano, a soli tre km, dal confine con la Siria. Qui, il rischio non è tanto nel confine con la Siria, né i soldati, né la paura che ti facciano del male. Qui, il rischio è la sofferenza. La sofferenza che provi quando scopri la verità, quando condividi pezzi di vita troppo pesanti da portare, quando il tuo nome diventa motivo di speranza. Il rischio della vita è questo: per misurarla devi vivere.
Se non impari a viverla nei suoi dolori più profondi non saprai vedere le piccole gioie che ti tengono a galla. E sarai vita e sarai amore». Questo scriveva Giulia, 23 anni, qualche mese fa sul blog di Operazione Colomba, Corpo Nonviolento di Pace dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, che opera in condizioni di conflitto, per la promozione della pace, partendo dal quotidiano delle popolazioni vittime della guerra.
Giulia è tornata solo da qualche mese dalla sua ultima missione nel campo profughi di Tel Abbas, in Libano, dove è stata impiegata per un progetto di dialogo interreligioso e di integrazione, tra i profughi siriani e i cittadini libanesi.
«Tel Abbas» mi racconta «si trova in una delle regioni più povere, e con il più alto numero di profughi, dove vivono circa 3000 abitanti di cui 2000 cristiani ortodossi e 1000 musulmani sunniti. Negli ultimi due anni sono arrivati 2000 siriani musulmani sunniti. La presenza di noi volontari occidentali aiuta a mantenere basso il livello di tensione con i libanesi. Abbiamo costruito una tenda nel campo, come quelle siriane, dove viviamo con loro, condividendone la quotidianità».
Giulia mi spiega anche che la presenza dei corpi civili di pace al campo è diventata fonte di sicurezza per i libanesi cristiani, terrorizzati dall’ISIS presente sul territorio, che vedevano in ogni siriano un potenziale terrorista: «Come volontari, siamo naturalmente diventati mediatori, per costruire ponti di dialogo tra le diverse realtà presenti sul territorio».
Di fronte al suo viso da bambina, alla mitezza che emana la sua presenza, viene da chiedersi dove trovi la forza, Giulia, per vivere così. «Sono pienamente convinta che la mia fede appartenga a tutti, che essa è amore, che può portare conforto ed essere mezzo di confronto» mi risponde semplicemente.
Fede, quindi. Fede con radici antiche, familiari…
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