Workshop
Metta, Thailandia: “Non vogliamo convertire l’altro, piuttosto lavoriamo insieme”
Ho scoperto da questi amici cristiani che loro cercano di vivere il Vangelo nella vita quotidiana. Attraverso il loro esempio ho provato anch’io a vivere in questo modo, seguendo gli insegnamenti di Buddha. Dopo qualche tempo, ho sentito che era importante trasmettere questo messaggio ai giovani del mio villaggio. Ogni domenica, con alcuni amici e con l’aiuto di un monaco, abbiamo istituito una scuola sul Buddismo per i giovani. Abbiamo preso le frasi del Vangelo che venivano vissute e abbiamo provato a cercare gli insegnamenti del Buddha nel “Sutra” che corrispondevano a quella frase in particolare. In questo modo, si è formato un gruppo di giovani buddisti per l’unità.
Vivendo in questo modo alcune persone ci capivano, mentre altre no. Ad esempio, un giorno un monaco che era un abate del tempio di mio paese, che io e la mia famiglia conoscevamo molto bene, mi ha chiesto: “Com’è la tua vita? Chi ha vinto? Tu hai convertito loro o loro hanno convertito te?” E gli ho risposto spontaneamente “Non vogliamo convertire l’altro, piuttosto lavoriamo insieme”. Questa risposta lo ha tenuto in silenzio e da quel momento in poi non ho mai più ricevuto altre domande come queste da lui. A volte ho riflettuto su questa esperienza, ed ero così stupita della mia risposta, di quello che ho capito e scoperto. Ho scoperto realmente il vero senso del dialogo sulla base dell’esperienza e ho capito che la spiritualità dell’unità conteneva in sé la capacità di dialogare. Per questo motivo, una persona che vive questa spiritualità ha anche la capacità di dialogo.
Insieme con i giovani del Movimento dei Focolari abbiamo fatto anche attività per promuovere un mondo unito attraverso l’idea della fraternità ed è stato durante questo periodo che sono diventata più sensibile sul dialogo interreligioso e sulle questioni sociali e mi sono interessata e coinvolta in questi problemi. Mi hanno portato a rendermi conto che il valore condiviso della fraternità insita nelle religioni può impegnare le civiltà dell’Oriente e dell’Occidente in un dialogo profondo e aiutare l’umanità a progredire verso un futuro in cui le differenze siano integrati dalle radici, al fine di raggiungere l’unità. Inoltre, se vogliamo promuovere insieme la giustizia, la solidarietà e la pace dobbiamo riconoscerci l’un l’altro, con rispetto e stima nelle nostra diversità, e ciò implica essere membri di un’unica famiglia umana, co-responsabili l’uno per l’altro.
Per me il modello dialogo della fraternità è il rapporto tra pari, mantenendo ognuno la propria diversità caratteristica, che comprende la libertà e l’uguaglianza. In Thailandia c’è libertà di religione, ma il significato di questa libertà è limitata solo all’interno della comunità religiosa che vive per conto proprio, tollerando gli altri. A volte mi pongo una domanda: “Ma è questa la vera libertà?” Con i Giovani per un mondo unito invece ci apriamo agli altri. Impariamo molto attraverso le frasi del Vangelo nel cristianesimo e arricchiamo gli altri attraverso le frasi e le spiegazioni del Buddha. Grazie a questa esperienza ho capito che la vera libertà religiosa è conoscere l’altro fino in fondo, nel rispetto e nella comprensione del cuore delle altre religioni, pur restando profondamente radicata nella propria religione.
La capacità di dialogo dipende dalla capacità di trasformazione interiore. Il punto più intimo di questa capacità è il vuoto interiore. Chiara Lubich lo spiega attraverso una profonda comprensione del mistero dell’amore e della sofferenza di Gesù crocifisso e abbandonato. Essendo io buddista, ho capito questo mistero come “dimorare nella sofferenza con amorevole consapevolezza”. L’attenta consapevolezza sostiene l’uomo nel suo sforzo di dimorare nella saggezza e produce contemporaneamente gentilezza amorevole e apertura al dialogo con gli altri, e questo vuoto interiore è essenziale per la libertà interiore – la libertà personale dalle emozioni negative e dalla ossessiva preoccupazione di sé – e conduce alla condizione di bontà e quindi anche alla libertà sociale e di azione.
Per esempio, nella mia città natale nel nord della Thailandia, che è una zona economica speciale della Comunità Economica dell’ASEAN, c’era un progetto di estendere la strada per la preparazione verso l’integrazione dell’AEC. La costruzione di nuove strade ha bloccato i corsi d’acqua del canale di fronte a casa mia e ogni volta che pioveva si sarebbero allagati. Questo ha portato disagi per gli abitanti del villaggio, così siamo andati all’ufficio comunale per richiedere alle istituzioni di drenare l’acqua. Purtroppo il funzionario ci ha risposto che il comune non dispone di un budget per risolvere questo problema e che il progetto appartiene al Dipartimento di Stato per le Autostrade e se volevamo risolvere il problema attraverso il drenaggio dovevamo pagare di tasca nostra. La gente era arrabbiata. Tornando a casa ho sentito che non potevo lasciare questo problema nelle mani delle autorità locali. Dovevo essere una parte della soluzione a questo problema. Ho riflettuto molto su questo tema e mi è venuta un’idea che in realtà sembrava fattibile, così l’ho condivisa con alcuni abitanti del villaggio e abbiamo deciso di proporla all’Ufficio di Stato per le Autostrade locale. Ma prima siamo tornati a comunicare al funzionario comunale, che ha accettato, e poi siamo andati a visitare l’Ufficiale di Stato. Abbiamo spiegato il nostro problema e ci ha offerto una soluzione. La discussione è andata bene, dopo un mese il drenaggio è stato realizzato senza che gli abitanti del villaggio dovessero pagare per esso.
Si tratta di una semplice esperienza per capire che come cittadini siamo collaboratori responsabili e attivi per la nostra stessa società. Le relazioni tra i cittadini e le autorità dovrebbero essere uguali, ognuno mantenendo la propria diversità caratteristica. Si tratta di una relazione orizzontale di dialogo che considera opinioni contrastanti come un percorso verso la comprensione reciproca, per includere l’un l’altro piuttosto che per comandare. Per questo offre un mezzo non violento aprendo un percorso relazionale che può superare le differenze, perché il rapporto reciproco, l’associazione, è più forte della forza dirompente. Questo modello si apre a diverse dimensioni di dialogo tra popoli, culture e religioni.