Workshop
“Non farti fregare!”
L’esperienza del doposcuola per i bambini del campo nomadi di Pistoia raccontata attraverso la voce di Cristina, mamma, insegnante e volontaria nella piccola scuola in legno nel campo di Brusigliano.
«Un giorno di circa 5 anni fa, mia madre mi dice che è arrivata in città una certa suor Gabriella, francescana dei poveri, che cerca aiuti per insegnare a leggere e scrivere ai bambini del campo nomadi di Pistoia. Io scoppio a ridere e penso: non ci andrò MAI, perché sono molto schizzinosa e io lavoro alle superiori, con i bambini non sono capace» racconta Cristina, insegnante di religione, pratese d’origine ma pistoiese d’adozione. «Mia madre mi guarda perplessa e, poco fiduciosa, mi raccomanda comunque di “non farmi fregare”».
Detto fatto. Dopo qualche giorno, Cristina è contattata da due giovani dei Focolari che desiderano mettersi al servizio in questa esperienza. Hanno solo bisogno di qualcuno che li accompagni. «Va bene, lo fanno loro – mi dico – Tanto vale coinvolgere qualcuna delle mie alunne. Così, ci incontriamo, per preparare le nostre lezioni e cominciare la nostra avventura… Insomma, ho resistito ben poco!».
Inizialmente, il piccolo gruppo di volontari incontra i bambini nelle baracche di legno e lamiere. Poi, grazie alla determinazione di suor Gabriella, che aveva alle spalle una grossa esperienza nel campo nomadi di Messina, vengono coinvolti la Caritas locale e il vescovo. Con il loro contributo, possono montare una casetta in legno con una stufa e la luce elettrica. «A quel punto, abbiamo una piccola scuola! Ci organizziamo per turni, due volte a settimana, per insegnare ai bambini del campo, che sono di varie età. Parliamo tanto con i genitori e i nonni, nascono delle amicizie, cresce la fiducia reciproca. Alcuni bambini che non si parlavano a causa dei dissapori tra i genitori, finalmente possono giocare insieme…» racconta Cristina.
Poi, l’esperienza sembra subire una battuta d’arresto. «Una delle ragazze va a studiare a Belfast, suor Gabriella è stata trasferita, e io sono rimasta da sola. Quando tutto sembrava morto, le francescane dei poveri hanno mandato un’altra suora, e ora l’esperienza sta proseguendo: partecipano insegnanti in pensione, ragazze dell’Azione Cattolica, anche una suora di un altro ordine».
Ma per Cristina cosa significa andare al campo Rom di Pistoia?
«Lì, ho incontrato un mondo a me prima sconosciuto, che vive parallelamente al resto della città. La loro povertà materiale e spirituale è superiore alle realtà che ho conosciuto, per esempio, in Africa, dove tutti sognano un futuro! E tutto questo mi fa molto patire. I quotidiani locali spesso parlano di loro in un modo che mi angoscia, perché non si tiene conto del fatto che al campo non ci sono solo montagne di rifiuti e scarti ingombranti ma uomini, donne e bambini. Dai media questo posto è descritto come una discarica a cielo aperto. Invece, per noi è un luogo di amicizia e di speranze in un futuro migliore che anche questi genitori vorrebbero garantire ai loro figli».
Cristina confida che fa sempre fatica a superare le sue manie di disinfezione, che rimane sempre sorpresa quando, andando via dal campo, vede che la macchina ha ancora tutte e quattro le ruote… «Ma a queste persone mi sono tanto affezionata. I bambini sono belli e hanno gli occhi pieni dello stupore di tutti i bambini. Al campo, incontro le mie amiche con le quali ci scambiamo ricette, confidenze e preoccupazioni, con le quali ridiamo dei nostri mariti e della vita. Le amiche che saluto con gioia quando ci troviamo in centro e che nonostante le tante preoccupazioni riescono ad affrontare con coraggio le avversità della vita».
È così che, anche nel Campo nomadi di Pistoia, vincendo quotidianamente i pregiudizi e lo stigma, si contribuisce a costruire un pezzetto di mondo unito.