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Paola, la bisnonna romana che costruisce pozzi e scuole in Burkina Faso
Nuove frontiere per una nuova umanità”. Così, il giornalista italiano Franco di Mare ha introdotto la sua intervista a Paola Garbini Siani, fondatrice e volontaria dell’associazione La Goccia Onlus, durante il programma di informazione di Rai 1, Uno Mattina.
Ho seguito la diretta, il 4 gennaio, su richiesta di Paola stessa, che considerava la mia “presenza” a distanza come una forma di incoraggiamento, come se il sapere di essere ascoltata da amici le rendesse più facile raccontare la sua Africa.
«Nel 2002, compii il mio primo viaggio in Burkina Faso. Ero approdata lì per caso, al fianco delle religiose camilliane, per portare in una scuola di cucito che stavamo formando, una statua della Madonna. Quella sera, dopo i festeggiamenti per questo dono, non riuscii a dormire. Mi chiedevo: ma cosa sono venuta a fare io in Africa, solo a portare la statua di una Madonna? Ma cosa se ne deve fare di una statuetta in ceramica questo popolo, con tutta questa povertà? Piansi tutta la notte, e all’alba girai quell’interrogativo proprio alla Madonna. Ad un certo punto, sentii quella che credetti la sua risposta: tu puoi essere le mie braccia, il mio cuore».
Così, è cominciata l’avventura di Paola in Burkina Faso, il “paese degli uomini integri”, secondo l’etimologia del nome in lingua more e bambara. Ascoltandola in diretta, penso che non basta un’intervista di cinque minuti per rendere la sua storia, la sua lotta quotidiana ingaggiata contro la desertificazione e l’abbandono scolastico.
Paola era un’infermiera, lavorava in sala operatoria, presso l’Ospedale Vannini, in via dell’Acqua Bullicante, una periferia romana. Era l’infermiera dei terrorizzati, quella che chiamavano nelle emergenze, perché sapeva fare la “preanestesia”, come scherzavano i suoi colleghi ovvero, sapeva ascoltare così bene lo spaventato, il solo, l’addolorato in ogni malato, da riuscire a calmarlo e a rendere più facile il lavoro dell’anestesista vera e propria. Aveva ed ha una famiglia grande e bellissima: è mamma di tre figli, nonna di quattro nipoti, bisnonna di due pronipoti. In questa normalità, da quell’esperienza del 2002, fonda l’associazione “La Goccia Onlus”, il cui slogan recita: l’acqua è la vita, l’istruzione è vitale. Da quel giorno, non si contano i pozzi scavati e le opere realizzate.
Nel settembre 2007, viene inaugurata la prima scuola materna nel villaggio di Mogdedo. Viene chiamata “Sainte Giselle”, dedicandola a Giselle, una bambina arrivata in Italia ad un anno dal suo intervento al cuore per un controllo e che, purtroppo, si era spenta la sera stessa del suo arrivo. Paola, guardandola nella sua piccola bara, decise di dedicare a lei la scuola. Grazie a questo istituto, centoventi bambini dai tre ai sei anni hanno potuto ricevere un’istruzione, un luogo dove giocare, un pasto al giorno e brave maestre che sanno prendersi cura di loro e della loro formazione.
Paola fa la pendolare con l’Africa fino al 2009. Quell’anno, muore improvvisamente Oreste, il suo amato marito. Vuole che quella morte lasci un significato profondo alla sua vita, e capisce che deve dedicarsi interamente all’Africa. Si trasferisce così in Burkina Faso, che diventa la sua seconda patria.
Quello stesso anno, dopo una tremenda alluvione nella diocesi di Koupela, viene contattata dal vescovo locale, che chiede il suo aiuto per ricostruire la scuola elementare della missione cattolica, andata completamente distrutta. Pur non avendo mezzi suoi, Paola si fida e si impegna perché quei bambini possano vedere rispettato, come tutti i bambini del mondo, il proprio diritto all’istruzione. Nel nuovo complesso scolastico oggi sono accolti più di trecento allievi.
Poi, grazie all’incontro con Denis, un bambino sordo raccolto per strada, che desiderava tanto andare a scuola, dà il via ad un’altra sfida: creare un centro per l’istruzione dei bambini con ipoacusia. In questa opera tutta nuova per l’associazione, coinvolge i sacerdoti della parrocchia dove era cresciuta fin da piccola, i Figli di Maria Immacolata (Pavoniani), che portano nel mondo il carisma di San Ludovico Pavoni, che ha vissuto particolarmente accanto ai sordi, per dar loro la possibilità di inserirsi nella società con un’istruzione e una professione. Così, nasce il Centro “Effata”.
Vivendo in Bourkina Faso, Paola resta profondamente colpita anche dal dramma delle madri-bambine, dalla mancanza di scolarizzazione femminile, sfavorita già in famiglia rispetto a quella dei figli maschi. Vede con i suoi occhi le conseguenze devastanti di una tale prassi, sia a livello individuale che sociale: la mancanza di alfabetizzazione, lo sfruttamento, i rischi sul piano della salute, l’alto tasso di mortalità materna. Così, nel comune di Baskouré viene aperto un centro di formazione femminile intitolato alla beata Chiara Luce Badano, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita delle giovani attraverso un’educazione scolastica e professionalizzante.
«Con il 2018, sono quindici anni che faccio la volontaria…» Paola, sorridendo dalla tv, con il suo viso largo e un po’ abbronzato, per niente rugoso, in barba ai suoi settant’anni, sta per spiegare al giornalista, le ragioni profonde della sua vita donata all’Africa «La spinta per fare tutto questo mi è venuta dall’ideale del mondo unito. Nel 1968, ho incontrato Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari. Lei mi ha dato una spinta fortissima a scomodarmi dalla mia casa: a condividere, condividere, condividere. Perché la condivisione è l’unica via che porta ad un mondo unito, alla fratellanza universale, cui tutti noi aspiriamo. Tutti noi vogliamo un mondo migliore per i nostri figli, per i nostri nipoti. Ma se restiamo comodi nel salotto della nostra bella casa, come lo cambiamo questo mondo? E allora, io ho deciso di andare lì e di scomodarmi, a condividere».
Dopo quindici anni di lavoro in Africa, le autorità civili del Burkina Faso hanno riconosciuto l’importanza della sua opera e, nel 2017, le hanno conferito la cittadinanza.
Ultimamente, Paola la bisnonna è tornata a fare la mamma. Nel dicembre 2014, ha accolto un bambino di un mese e tre giorni, la cui giovane mamma era deceduta otto giorni dopo il parto. Si chiama Aziz Noel François Yougbare, e oggi ha tre anni. L’incontro con lui è stata l’occasione per aprirsi ad un altro progetto: la costruzione di un orfanotrofio speciale, dove poter accogliere assieme ai piccoli, le donne rimaste sole, perché come delle nonne, possano trasmettere ai bambini senza famiglia la cultura africana.
«Lo guardo, lo vedo crescere e mi auguro ancora qualche anno di vita per poterlo vedere crescere, ma la sua presenza qui, accanto a me, è come un dono prezioso che Dio ha voluto farmi: oggi sento che è il ritorno di tutto l’amore che ho portato a questa terra. L’Africa che mi ha donato uno dei suoi figli».
Mi sembra che l’esperienza di Paola insegni che l’ideale del mondo unito si può davvero vivere ad ogni età.