Workshop
Quarta tappa in Ecuador
Arriva e ci accoglie come se ci conoscessimo da sempre. I suoi segni distintivo sono un abbigliamento informale, un sorriso che illumina la sala e due occhi che brillando di una luce particolarissima.
Inizia raccontandoci i primi giorni della sua esperienza: «Salinas era una comunità composta da capanne di terra e paglia. La maggior parte del lavoro veniva svolto nelle miniere di sale. Le condizioni della popolazione erano quasi di semi-schiavitù. La sfida più grande era liberarsi della servitù e valorizzare quella solidarietà comunitaria presente in questa comunità. Dopo quattro mesi dal mio arrivo, avevamo già realizzato una casa comunale. Dovevo andare via ma non potevo partire perché avvertivo nel cuore che era iniziato qualcosa di speciale».
Gli chiediamo di ripercorrere la storia di questa sua straordinaria avventura: «i primi 10 anni sono trascorsi cercando di rispondere ai bisogni primari ed essenziali della comunità. Alla fine degli anni ’70, poi, ho incontrato una persona che ci ha insegnato a sfruttare le potenzialità del territorio, a realizzare dei formaggi e a commercializzarli. Da lì in poi abbiamo cercato di valorizzare l’esperienza della cooperazione comunitaria».
Alla domanda se aveva un progetto per Salinas, lui risponde con un sorriso e aggiunge che «non avevamo un piano. Vivevamo l’attimo presente, cercando di amare concretamente. E questo significava rispondere immediatamente e concretamente alle esigenze della popolazione».
Continua spiegandoci i meccanismi della economia solidale: «tutte le aziende si aiutano fra loro. Tutti sono soci e le decisioni si prendono insieme, collegialmente». Insomma: una esperienza che richiama quella dell’economia di comunione del Movimento dei Focolari.
Clever, brasiliano, gli chiede se è un modello replicabile nelle grandi metropoli. Lui risponde con sincerità e grande serietà: «non c’è differenza fra piccole o grandi città. C’è sempre bisogno che le persone si incontrino, si parlino, si confrontino, condividano le esigenze e le esperienze. E, soprattutto, che guardino fuori e rispondano alle esigenze delle persone perché, diversamente è solo una solidarietà interna. Che, in altre parole, non è altro che un egoismo di gruppo nei confronti della società».
Ci descrive brevemente cosa è stato realizzato in questi anni: «fanno parte dell’economia solidale 22 caseifici comunitari, 28 cooperative di risparmio e credito. Ma abbiamo realizzato anche 28 scuole, 14 case comunali, una casa giovanile, e così via… attualmente abbiamo in corso diversi altri progetti».
Continua raccontandoci il rapporto con le nuove generazioni: «i giovani avevano bisogno di sentirsi liberi di esprimersi; ma dovevano anche capire profondamente il senso della “minga” (la tradizione indigena del lavoro collettivo e comunitario). Ci siamo trovati insieme a tutta la comunità per capire quale fosse la strada da percorrere. I giovani proponevano di investire sul turismo. Parte della comunità non era d’accordo. Ne abbiamo parlato, ci siamo confrontati e ascoltati. Alla fine, abbiamo capito che il turismo (fatto in una certa maniera e rispettoso delle tradizioni), può aiutare tutta la Comunità a riscoprire, ogni giorno, la vera vocazione dell’economia solidale».
Ultima domanda prima di lasciarlo: quale è la vera ricchezza di Salinas? Lui risponde nuovamente con un sorriso: «la vera ricchezza di Salinas non sono i prodotti alimentari, ma sapere che insieme si può realizzare qualcosa di grande: realizzare un pezzo di mondo, unito dalla fraternità universale».
È tempo di salutare padre Antonio. In tutti noi un grandissimo entusiasmo. Nel cuore ho una gran voglia di ringraziarlo. Corro a salutarlo e, guardandolo negli occhi, gli esprimo tutta la mia gratitudine. Avverto, però, che le parole non riescono ad esprimere ciò che il suo intervento ha suscitato dentro di me. Mi rendo conto che padre Antonio ha toccato alcune corde della mia anima. Il cuore batte esattamente come quando sentivo parlare per le prime volte del desiderio di realizzare un mondo unito; quando iniziai a capire che esistevano persone che spendevano la propria vita per andare controcorrente e costruire ponti di fraternità… Insomma, anche se siamo a 3.500 metri di altezza, sembra che il cuore sia balzato alle stelle!
Ci avviamo nelle montagne della comunità: ci aspetta la visita ai caseifici, alla fabbrica di cioccolato e alla miniera di sale. Mentre saliamo, però, la comunione fra tutti è interrotta da grandi silenzi… ma non sono silenzi vuoti. Ciò che abbiamo appena ascoltato ha suscitato in noi grandissime riflessioni. E, infatti, durante tutta la giornata continueremo a parlarne. Anche durante il viaggio di ritorno, che durerà 7 ore. Alejandro e la sua chitarra, però, animeranno tutto il viaggio di ritorno… ore ed ore di canti. Ciascuno porta un suo contributo. Si canta in spagnolo, in inglese, in italiano, in tagalog (una delle lingue delle Filippine), in tedesco, in francese, in hindi… insomma, l’interculturalità passa anche attraverso la musica!
di Francesco Ricciardi