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Un uomo, il mare e tanta bellezza. Intervista a Mauro Pandimiglio
Mauro Pandimiglio ha attraversato diverse volte l’oceano in barca a vela. Conosce bene il mare e ancora di più lo ama. E’ il fondatore della scuola di vela “Mal di mare”, tra Montalto di Castro e Pescia romana, al confine tra Lazio e Toscana: un’esperienza che tra soli due anni ne compirà ben 40; un’avventura in profonda relazione con la natura, ma anche con la solidarietà, l’umanità, l’attenzione alla diversità e con i giovani. L’abbiamo incontrato per farci raccontare la sua storia edificante, piena di forza e speranza, il suo lungo viaggio (non solo) per mare.
Un viaggio anche complesso, con tante trasformazioni. Cominciato con una scuola di vela come ce ne sono altre, ma poi imbattutosi (anche) nella disabilità che ci ha cambiato la vita.
In che modo?
Abbiamo abbandonato il vecchio protocollo con le sue aspettative, per crearne di nuove. Siamo stati forse i primi, in Italia, ad aprire una scuola di vela alla disabilità. Per autismo e non solo. In verità aperta anche al disagio sociale, visto che abbiamo lavorato col penale minorile.
Di che anni parliamo?
La scuola ha aperto nell’86, ma questi cambiamenti sono avvenuti intorno al 1997.
Altri momenti di svolta?
Quando ci siamo resi conto che la nostra era una scuola di terra, non di mare.
In che senso?
Le persone mandavano i propri figli perchè diventassero esperti nell’agone sociale, perchè riuscissero a governare meglio la vita, per diventare più scaltri.
E qualcosa non vi tornava?
Ci siamo chiesti se era così che dovevano andare le cose. Abbiamo cercato di capire se non esistesse un punto di vista del mare diverso da quello della terra.
Una domanda complessa…
Che ci ha accompagnato fino a oggi e continua a farlo. Il nostro pianeta è composto di oceano per quattro/quinti. Respiriamo pulviscolo oceanico. C’è un po’ di oceano nella pancia della nostra mamma e milioni di anni fa eravamo pesci. Alcune parti del nostro corpo sono uguali a quelle dei pesci.
Questo punto di vista del mare lo intendi anche in senso metaforico?
Metaforico e reale, legato a quella nostra natura marina che dobbiamo rispettare di più. Non dobbiamo mai dimenticarci del mare, per rispettare l’origine della terra.
E in senso metaforico?
Relativamente all’ascolto. Sulla terra l’uomo costruisce ogni sorta di dualismo conflittuale. Sul mare, non potendo costruire nulla, torna ad essere un “unicum” con la natura. Sul mare torna a essere natura. Sulla terra siamo logocratici: se non abbiamo nulla da dire non siamo niente. Sul mare basta l’ascolto. Il mare non parla alla mente, ma alla pancia.
Possiamo dire che il mare è simbolicamente lo spazio dell’incontro, del movimento e del cambiamento?
E’ proprio così.
Come si legano quesi pensieri al lavoro coi ragazzi?
Tutto questo i bambini ce l’hanno nella genetica. Abbiamo piccoli di 5, 6, 10 anni. Un bimbo va subito verso il mare.
Nella vostra scuola c’è una frase importante: “Abitare il mare”.
Ora, abitare il mare è impossibile se non con una barca e attraverso questa si sperimenta il potere educativo, terapeutico del mare. Il suo essere estremamente maestro. Per tutti.
Ben comprese le persone con disabilità..
Che hanno sogni e sentimenti, e in mare acquisiscono elementi difficili da trovare sulla terra.
Le tue riflessioni mi riportano alla Laudato Sì e la barca di cui parli per “abitare il mare” mi fa venire in mente la Fratelli Tutti, per il fatto che siamo tutti sulla barca in questo mondo.
Nel 2000 abbiamo inaugurato un grande evento chiamato proprio “Siamo tutti sulla stessa barca”, che era la prima regata internazionale per ragazzi con disabilità. La Laudato Sì è importante per noi, ma lo è anche il libro di John Rawls: Una Teoria della giustizia. Perchè la giustizia è indispensabile per il raggiungimento della pace. Guardando il mondo oggi è difficile dire che siamo tutti sulla stessa barca, visto che ce ne sono di comode e di precarie, alcune in mezzo alle bombe.
C’è un’altra espressione che mi ha colpito cercando informazioni sul tuo lavoro: è “barca relazionale”.
Fa parte del percorso educativo che portiamo avanti per rielaborare i diversi traumi diffusi nel percorso di crescita dei ragazzi, anche quelli educativi dovuti alla violenza sparsa nella società. Molti giovani ne hanno un gran bisogno. La barca relazionale è quella sulla quale mandiamo i ragazzi da soli, appena arrivano da noi. Naturalmente gli siamo vicinissimi coi gommoni, ma per loro gestire la barca senza l’adulto diventa il vero senso della barca relazionale, terapeutica per l’anima.
Quanto è importante investire nel ritorno alla natura?
Lo è straordinariamente. Se vogliamo continuare a credere in noi stessi, dobbiamo investire nella natura e nel mare, che è la parte di natura più intima. Per questo abbiamo preso le scuole di Montalto e Pescia Romana e le abbiamo portate in spiaggia, per un’esperienza in sostituzione dell’aula. Da lì sono arrivate altre scuole.
Non possiamo non parlare di ecologia integrale, secondo il concetto espresso da Papa Francesco: ovvero la connessione tra ambiente e umanità, per cui se questa relazione è fertile tutti ne giovano, altrimenti è il contrario. A una crisi ambientale ne corrisponde sempre una sociale e umana. In che modo il tuo lavoro con la natura, col mare in particolare, si inserisce in un discorso di ecologia integrale?
Quel passaggio è per noi è fondamentale, perché abbiamo sempre pensato che c’è una base sociale per tutte le catastrofi, le guerre e le situazioni ambientali negative. Torno a Rawls e alla sua differenza tra visione contrattualista e utilitaristica. La seconda non ti potrà mai portare a risolvere i problemi che ci sono nell’ambiente. Nella rivoluzione ambientale è dunque fondamentale che questa serva agli ultimi. Se non ci sono loro in cima all’agenda, ma solo il fiorellino, il pesciolino, allora non può funzionare.
Questo lo insegnate anche nelle scuole?
Che l’ambiente è per tutti gli esseri viventi di questo mondo, e per riportare chi è ultimo e solo davanti.
Quali sono le parole chiave imprescindibili in questo viaggio che fate ancora?
Sono la violenza che cerchiamo di combattere, quella educativa che ci addolora, che entra anche nelle scuole, e l’ascolto, nella nostra dittatura del dire, che deve portare a un cambiamento radicale.
Quali sono le cose più belle che porti nel cuore guardando questi 38 anni?
Rifarei tutto quello che ho fatto, comprese le virgole. Il mare mi ha salvato la vita. Con lui ho vissuto alcune delle cose più belle della mia storia.
Come attraversare l’oceano?
Immergersi per un mese nella natura del mare significa toccare davvero la libertà e la felicità.
Per questo motivo, poi, hai cercato di restituire agli altri?
In qualche modo mi sono sdebitato.
E’ più difficile attraversare l’oceano in barca a vela o sostenere le difficoltà politiche e culturali che un progetto bello come il vostro deve affrontare, in una società organizzata spesso in modo diverso da come la pensate voi?
Combattere sulla terra. Perché di questo si tratta. Combattere per un ideale. Combattere come stiamo facendo noi per tenere aperta una scuola importante, un capitale sociale, è difficilissimo. Molto meglio le tempeste della navigazione che quello che bisogna fare a terra. Non c’è dubbio.